Una cosa che Alessandro Sestu non potrà mai spiegare, con la sua concezione della lingua come mezzo di comunicazione e di espressione poetica, ma non di identità, è il fatto che quando un Olandese fa qualche cazzata nel traffico, io–dopo circa 30 anni passati in questo paese–gli urlo: “Cunnu de mamma tua!”
Se devo contare, anche in presenza di Olandesi, lo faccio in italiano, perché è in italiano che ho imparato a contare.
E questo mentre, quando penso, cambio in continuazione lingua, a seconda del mio interlocutore mentale.
Io sono effettivamente plurilingue, ma questo non vuol dire che le lingue che conosco siano strutturate nella mia mente in modo lineare, orizzontale, una a fianco dell’altra.
Mentre ho ancora parecchie interferenze dal sardo e dall’italiano nel mio olandese, l’opposto si verifica forse una volta all’anno, e quasi esclusivamente quando parlo con mia figlia.
Curiosamente ho anche interferenze dall’inglese all’olandese, ma quasi mai al contrario e ricorro spesso a citazioni in inglese quando parlo con gli Olandesi, ma mai quando parlo con gli Italiani o i Sardi.
Non riesco a imparare lo Spagnolo in modo decente, perché mi vergogno di tutti gli errori che faccio.
È una cosa assurda, ma da qualche parte nella mia testa si è piantata la convinzione che lo spagnolo sia una delle mie lingue “materne” e che quindi dovrei parlarlo fluentemente e correttamente.
Del francese non me ne frega niente e quando occorre lo parlo con tutti i miei strafalcioni e penso peggio per loro che non conoscono altre lingue.
Raccontando queste cose, sto in un certo modo dando ragione a Alessandro Sestu: l’identità (linguistica) è una cosa individuale, frutto della storia personale di ciascuno di noi.
La mia è chiaramente europea, ma come ho cercato di spiegare, la sua composizione non è la semplice somma delle varie lingue che compongono il mio repertorio linguistico.
La mia identità linguistica si può rappresentare come una serie di cerchi concentrici (la cipolla di cui parlavo) o di parentesi:
[F [E [NL/GB [I [Sg [SIg [IRS] ] ] ] ] ] ]
F: francese; E: spagnolo; NL/GB: olandese/inglese; I: italiano standard; Sg: Sardo in generale; Sig: sardo di Iglesias; IRS: italiano regionale di Sardegna
Il nucleo della mia identità linguistica è costituito da [Sg [SIg [IRS] ] ].
Rappresentarlo in questo modo, costituisce comunque una forzatura, perché l’iglesiente è per l’80% concidente con le altre varietà del sardo e l’IRS contiene moltissimi elementi che provengono dal sardo. Inoltre, dato che tutti usiamo tutto il nostro repertorio, ricorrendo alla commutazione di codice (code switching) e a prestiti in entrambe le direzioni, il modo migliore di rappresentare la mia identità linguistica è il seguente:
Tutti i Sardi bilingui condividono quest’identità linguistica, che presenterà, ovviamente, oltre a quella dialettale, una certa variabilità individuale–neppure i gemelli omozigoti sono identici!–ma che permette loro di riconoscersi e essere riconosciuti come Sardi.
Non vedo proprio come questo fatto possa essere negato e non vedo come si possa negare che l’identità linguistica costituisce uno degli assi portanti dell’identità generale di una persona.
Non fosse altro che per il fatto che la maggior parte della comunicazione tra esseri umani avviene in una lingua o nell’altra e quindi l’uso di una certa lingua comporta automaticamente l’interazione con un certo gruppo di persone, escludendo l’interazione con le persone di cui non si conosce la lingua.
Interazione linguistica significa semplicemente VITA SOCIALE e non vedo come qualcuno possa pensare che questa non abbia un’influenza importante sulla nostra identità generale.
Parlare in olandese mi ha reso, fino a un certo punto, Olandese, per via dell’interazione che ho in continuazione con i parlanti dell’olandese.
Allo stesso modo, un Sardo che non parla in sardo è meno Sardo di uno che lo parla, preché si autoesclude dall’interazione con i sardoparlanti, nelle situazioni in cui le regole pragmatiche (quelle che regolano l’uso della lingua) richiedono l’uso del sardo: pensate a tutte le barzellette che in italiano non si possono raccontare.
Con buona pace degli indipendentisti all’amatriciana, il sardo e l’italiano non sono e non possono essere messi sullo stesso piano.
Esistono rapporto complessi tra le due lingue e questi rapporti sono gerarchici in tutti e due i sensi: in certe situazioni il sardo è inadeguato, mentre in altre è l’italiano a essere inadeguato.
E quella in corso è una vera e propria guerra linguistica, in cui la posta in gioco è l’egemonia.
Si può rendere il sardo adeguato a tutte le situazioni, e noi stiamo lavorando perché questo avvenga.
Ma non si può rendere l’italiano adeguato a tutte le situazioni, pena la fine della nazione sarda.
Ma ve l’immaginate una Sardegna in cui la battuta finale della barzelletta su Berlusconi finisce con “Quello vuole asparagi, sì, ma quando si parlava ancora all’antica, quello voleva dire anche “Bisogna sparargli!” ahahahahahahaha!
In quella Sardegna non ci voglio proprio vivere!
Anche gli indipendentisti all’amatriciana devono scegliere tra Dio e Mammona: o stanno da una parte o stanno dall’altra.
E Massimeddu stimau, deu ti bollu beni e ge ddu scis, ma non tocat a tui a cuai sa brigungia de sa gloria de sa literadura italiana, tradusendi s’intervista cun issa in LSC:
A folla de figu ti ses furriau?
http://doshefreesaw.progeturepublica.net/michela-murgia-su-contu-est-su-logu-de-saddobiu/