Marcelino pan y vino y la literatura sardiñola

In questo post non compariranno le parole minca, coglione, culu, cazzate ecc.

La volgarità consisterà unicamente nel cedere al ricatto degli scrittori sardignoli e scrivere in italiano.

Sulla Nuova Sardegna lo scrittore sardignolo Marcello Fois è intervenuto nel dibattito sulla questione della letteratura sarda, e il suo intervento è stato ripreso e condiviso sul suo blog dalla scrittrice sardignola Michela Murgia.

http://www.michelamurgia.com/di-cose-sarde/cultura/senza-peli-sulla-limba

Evidentemente si è depilata anche quella.

Forte della modesta posizione ottenuta nel mercato italiano che lo fa però torreggiare  sui suoi concorrenti sardignoli, Fois ironizza  sulla discussione tra Diego Corraine e di Ignazio Delogu, sempre sulla Nuova Sardegna, e definisce i due  partecipanti “due anime tanto diverse dell’intellettualità locale” e anche “I due campioni locali”.

Fois dimentica di essere “grande” solo rispetto ai “locali”: in Italia chi è?

Il rimprovero paterno e ironico di Fois ai due contendenti “locali” è quello di occuparsi di questioni secondarie rispetto ai problemi attuali della Sardegna (il lavoro, l’ambiente, la politica nazionale): “Sì, perché questa diatriba [sulla lingua e la letteratura] tanto impellente quanto cogente riguarda uno dei punti salienti della recente politica culturale sarda.”

Fois ripete come un vecchio disco di vinile rotto le stesse cose che le gli intellettuali sardignoli dicono, rispetto alle priorità sarde, fin da quando è sorta la nuova coscienza linguistica dei sardi: i problemi della Sardegna sono quelli economici, non quelli linguistici.

Si noti che, a dire queste cose, è uno di di letteratura e di cultura ci campa!

Forse è vero che Fois non capisce e in effetti nutro seri dubbi sulle sue capacità intellettuali. Non vedo infatti come una persona anche di semplice buon senso possa non rendersi conto del fatto che gli eterni problemi della Sardegna—sempre gli stessi: ieri erano i minatori, oggi i pastori—siano tutti riconducibili al fatto che abbiamo una classe dirigente incapace. Il dramma dei pastori non è provocato dalla globalizzazione crudele—il pecorino romano lo vendevano proprio grazie a questa—ma alla mancanza di alternative alla pastorizia. Chiunque sappia un minimo di economia, sa che le monocolture sono estremamente vulnerabili: basta che qualcosa vada storto e si arriva presto al collasso. Ieri la UE dava i contributi alla produzione del latte sardo—noi, con le nostre tasse mantenevamo in parte i pastori—oggi permette ai pastori rumeni di vendere il loro latte a prezzi competitivi rispetto ai pastori sardi. Tutto questo era prevedibile e previsto e infatti gli industriali del latte si sono adeguati alla novità e comprano il latte in Romania. Chi non ha preparato nessuna alternativa per i pastori sono i politici sardignoli e la mia domanda retorica è: perché?

La risposta l’ho data in modo esteso in diversi articoli, ma la riassumo di nuovo qui: “La classe dirigente sarda non riesce a vedere i problemi della Sardegna perché guarda ad essa con ‘occhi italiani’, cioè con una cultura italiana, mediata dalla lingua italiana”.

L’essere Sardegna—e l’essere Sardi—viene determinato dalla geografia o dalla cultura? Io da anni rispondo che è la cultura a renderci Sardi e che se non siamo Sardi non possiamo “vedere” la Sardegna. È comunque sintomatico del livello intellettuale di Fois o del livello della sua onestà intellettuale che uno che campa di letteratura ironizzi sull’importanza di discutere di questi problemi culturali.

Parlare di lingua e di letteratura sarda significa voler trovare una soluzione sarda ai problemi sardi: una classe dirigente si forma in un certo clima culturale. Chi conosce la storia della Sardegna sa che l’espansione abnorme della pastorizia è il risultato della colonizzazione italiana: il pecorino romano come le banane delle repubbliche delle banane.

La grandezza relativa di Grazia Deledda viene proprio dall’aver scritto del conflitto interno alla nascente borghesia compradora negli anni del far west seguito alla calata degli industriali caseari in Sardegna e alla scoperta del denaro da parte dei Sardi.

Ma per conoscere la storia sarda bisogna volerla conoscere. Bisogna quindi aver respirato un clima culturale che non sia quello che gli scrittori sardignoli contribuiscono—ormai in modo decisivo—a costruire con le loro fictions (in inglese: finzioni) su una Sardegna immobile nel tempo fissato una volta per tutte da Grazia Deledda. Questi scrittori vendono agli italiani e ai Sardi una Sardegna posticcia, fatta solo di pastori e acabbadoras, incapace di evolversi. Fois parla di mercato internazionale in cui questi scrittori sarebbero presenti con i loro sanguinacci e i loro Sardipelosi: poverino (sciadau!)! Oltre a Niffoi, nessuno degli scrittori sardignoli ha mai varcato il confine della provincialissima Italia: a pigai in giru a Silicua! (e in Silicua mi depint perdonai!)

un lettore mi ha corretto in una nota su questo punto: grazie!

Ma la vera perla di questa modesta minestrina in brodo di dado servitaci da Fois è l’accusa rivoltaci di negare la sardità anagrafica degli scrittori sardignoli.

La discussione verte in realtà sulla definizione della letteratura sarda: “È letteratura sarda quella scritta in sardo, come in tutti gli altri casi in cui si definisce una letteratura in base alla lingua in cui è scritta, o lo è anche quella scritta in italiano?” Fois ciurla nel manco.

Ovidio scriveva letteratura italiana?

Fois invece la butta sul dato anagrafico, cioè geografico: “Se uno scrittore è nato in Sardegna, la sua è letteratura sarda”.

Qualcuno ha mai accusato Fois di non essere scrittore e Sardo?

Non mi risulta. Ma il fatto di essere scrittore e sardo, non rende ancora la sua letteratura italiana quello che non è: letteratura sarda.

Quanto al suo valore come scrittore–e dei suoi colleghi sardignoli–saremmo ben felici di festeggiare il secondo Nobel per la letteratura sardignola, ma la cosa mi sembra abbastanza improbabile.

Purtroppo anche Omar Onnis è caduto nella trappola di Fois (o era la trappola di Onnis in cui è caduto Fois?) e anche lui nel suo commento fa finta di credere che noi accusiamo gli scrittori sardignoli di non essere Sardi.

No! Noi diciamo solo che la loro è letteratura sardignola, non letteratura sarda, perché è scritta in italiano.

Tutto qui e non c’è bisogno di aspettare la Storia per saperlo: basta aver studiato un po’ di storia della letteratura.

Quello che proprio non si capisce è l’ostinazione di questi Sardignoli a voler considerare la loro come letteratura sarda, contro ogni regola del buon senso. Viene da pensare che nei contratti che hanno firmato con i loro editori italiani esista anche questa clausola. Fatto sta che il loro tentativo di autolegittimarsi come scrittori di letteratura sarda ha sempre come obiettivo non dichiarato quello di escludere gli scrittori in sardo: se il criterio per giudicare il valore di uno scrittore è quello del suo successo sul mercato italiano–“non locale”, nella terminologia di Fois–è chiaro che chi scrive in sardo, essendo escluso da quel mercato, non vale niente.

Ed ecco il succo del discorso di Fois: negare la dignità e il valore della letteratura sarda. Agli Italiani questo discorso fa certamente comodo.

5 Responses to “Marcelino pan y vino y la literatura sardiñola”

  1. interessante diatriba:si ,la copla è dei politici che voglion i Sardi comegli altri,li vogliono addomesticare e ci stanno riuscendo

  2. Che nessuno di questi abbia mai varcato i confini dell’Italia è proprio falso: Fois è tradotto in almeno venti lingue, la Agus e la Murgia poche meno. Anzi proprio quest’ultima è appena uscita in traduzione olandese, non mi ricordo l’editore ma la copertina e la casa editrice sono sulla sua pagina di facebook. A volte le spari proprio a casaccio, Bolognesi.

  3. Penso che mi suiciderò: adesso sono diventato un fascista serbo!

    #9 MARCELLO FOIS 2010-11-04 14:17
    Se si dovesse applicare ai cognomi il sistema di pulizia etnica auspicato da Bolognesi, il suddetto non sarebbe nemmeno geneticamente sardo… Vedo che anche lui la mena tanto sulla sua presunta sardità come l’impotente che racconta le sue prodezze sessuali ai quattro amici al Bar. Quello che so è che mi piacerebbe avere ragione sul fatto che il mio status di scrittore dipende dall’essere considerato tale solo in Sardegna: per me non è un deficit, ma un onore. Quello che so è che pur vivendo a Bologna sono rimasto Sardo, lui vorrebbe essere sardo, ma è solo Bolognesi.

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