July 22, 2020

Messaggio ai governanti sardi a proposito della lingua

Ammesso che le voci che sia in arrivo una terza commissione della lingua sarda corrispondano alla verità e ammesso che sia vero che io sarei invitato a farne parte, voglio chiarire già adesso che una mia eventuale partecipazione ai lavori della suddetta commissione è subordinata al tipo di incarico che la commissione riceverà.

1) Non parteciperei comunque ai lavori di una commissione in cui tutto ripartisse da capo e i politici delegassero alla commissione il compito di accertare se una forma unitaria del sardo sia possibile o meno. Questa discussione va considerata chiusa. Il sardo è una lingua fondamentalemente unitaria, che presenta una grammatica (morfosintassi) e un lessico estremamente omogenei e differenze fondamentalmente limitate alla pronuncia e al sintagma verbale. Gli studi effettuati negli ultimi 40 anni, all’interno di quadri teorici aggiornati, lo dimostrano abbondantemente.
Non ho tempo da perdere discutendo con “esperti” che si sono fermati alla linguistica tedesca di fine Ottocento.

2) Non parteciperei comunque ai lavori di una commissione in cui si parta dall’equiparazione della situazione linguistica sarda a quella italiana. Non ho tempo da perdere discutendo su quale sia il “fiorentino sardo” , la varietà “prestigiosa” da imporre a tutti i Sardi. Questi tentativi hanno portato alla LSU prima e alla (pseudo)LSC–in effetti una LSU appena sottoposta a cosmesi, usata da s’Ufitziu de sa Limba–poi: tentativi entrambi falliti miseramente. La situazione linguistica in Sardegna non è neppure lontanamente paragonabile a quella italiana.

3) sono disposto a lavorare agli emendamenti necessari alla LSC originaria–quella approvata dalla seconda commissione della lingua–cioè a un sardo di mesanía, per arrivare a una forma unitaria dello scritto che permetta, in linea di principio, tutte le pronunce del sardo. Sono anche disposto a lavorare a una standardizzazione del paradigma verbale: necessario e inevitabile per una forma unitaria della lingua. Naturalmente, come riconosciuto dalla seconda commissione, non si discute la libertà del lessico, che va tutto accettato come ricchezza della lingua.

Allego due miei articoli al riguardo, in cui si cita anche la letteratura relativa.

https://bolognesu.wordpress.com/…/emendamenti-alla-limba-s…/

https://bolognesu.wordpress.com/…/una-lingua-unitaria-che-…/In questo post propongo gli emendamenti che invierò, protocollati, all’Assessore Firinu e al Presidente Pigliaru. Gli emendamenti li accompagnerò con i quattro libri che ne costituiscono la b…

July 21, 2020

La LSC? Un golpe da operetta

Immaginate un generale che pretenda di decidere lui se entrare in guerra e contro quale nemico combattere.

Un generale che si sostituisce al governo, è un generale golpista.

Ora, chiamare “generale” un dipendente comunale in prestito alla RAS è un’iperbole che all’interessato farebbe certamente piacere, nella sua smisurata considerazione di se stesso: per questo la uso.

E generale sia, allora, ma un generale fellone, sia chiaro.

Del tipo di Francisco Franco, ai tempi del suo pronunciamiento.

Perché la LSC non è mai stata concepita per essere lo standard del sardo.

Rivediamoci la delibera istitutiva della LSC: “[Il Presidente della Regione di concerto con l’Assessore della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport] PROPONE di adottare la Limba Sarda Comuna, come norme linguistiche di riferimento a carattere sperimentale per la lingua sarda scritta in uscita dell’Amministrazione regionale e per la traduzione di propri atti e documenti ufficiali, fermo restando, come previsto dall’articolo 8 della Legge 482 del 1999, “il valore legale esclusivo degli atti nel testo redatto in lingua italiana”; di intraprendere il processo verso la Limba Sarda Comuna con il concorso di contributi, opinioni, riscontri e verifiche adottando una soluzione iniziale in cui, insieme a una larga maggioranza di opzioni comuni a tutte le varietà, convivono, in alcuni casi, opzioni aperte e flessibili e che, proprio per la gradualià e la sperimentalità del percorso, a distanza di tempo e sulla base delle risultanze e delle necessarie esperienze, potrà essere integrata, modificata ed arricchita con gli opportuni aggiustamenti; di approfondire con ulteriori studi il lessico, la morfologia e un’ortografia comune a più varietà. (http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_72_20060418155552.pdf)”

La LSC, nell’interpretazione de S’Ufitziu de sa Limba, è stata in seguito presentata come lo standard del sardo, da far adottare a tutti i Sardi, in violazione delle indicazioni chiare date dalla delibera istitutiva e ha conosciuto un solo tipo di modifiche: quelle che l’allontanavano ulteriormente dalle varietà meridionali, quelle parlate dalla maggior parte dei Sardi. Le modifiche sono state esattamente l’opposto di quelle auspicate dalla delibera.

Un golpe linguistico, quindi, una fellonia.

Con una differenza: i golpisti de noantri non avevano fucili a disposizione, né baionette.

Solo quattrini da gestire: e così, spaciau s’ollu de procu, spaciada sa festa.

L’uso della LSC è rimasto limitato al cabu de susu e, se di standardizzazione si può parlare, questa è limitata alle varietà centrosettentrionali del sardo: le varietà minoritarie.

Questa parodia di golpe è fallita miseramente: era un golpetto.

Il sardo attende ancora che la politica si faccia carico delle sue responsabilità e si pronunci sulla questione di un eventuale standard.

La questione infatti non è ne tecnica, né burocratica: decidere se standardizzare una lingua è una questione interamente politica e non può essere affidata ai linguisti o, peggio ancora, a un impiegato dotato solo di smisurate ambizioni personali.

È ora di sgomberare il campo dalle numerose fesserie messe in circolazione dai golpettisti, evidentemente così convinti della propria astuzia da pensare che gli altri siano tutti fessi.

Ed è ora che la politica si decida a prendere una decisione sul futuro di una forma ufficiale del sardo.

Resta poco tempo.

La parola adesso spetta a loro.

January 21, 2020

Il latino deriva dal Sardo? Processi storici possibili e impossibili

Giorni fa, su Facebook ho scherzato sulla “fissione” della B in sardo che, prendendo per buona la tesi di Bartolomeo Porqueddu,  avrebbe portato a ben 4 suoni differenti in latino.

Ora, mettendo da parte gli scherzi, mostrerò come un tale processo di “fissione” di un fonema sia impossibile, mentre il contrario–quattro fonemi o nessi consonantici che diventano una B unica–è possibile e facilmente spiegabile.

Per capirci, bisogna prima di tutto sapere cosa rappresenta la lettera B in termini di articolazione di quel suono.

Mettetevi davanti allo specchio, poggiate un dito sulla gola, all’altezza delle corde vocali e pronunciate una B.

Vedrete che le labbra si chiudono completamente, bloccando l’uscita dell’aria proveniente dai polmoni, per poi aprirsi. Nel mentre sentirete che le corde vocali vibrano.

La lettera B rappresenta una plosiva labiale sonora.

La lettera P, invece, rappresenta una plosiva labiale sorda: le corde vocali non vibrano.

Fate la prova davanti allo specchio.

Questo significa che, diversamente dal modo in cui le lettere dell’alfabeto li rappresentano, i fonemi /b/ e /p/ non sono degli oggetti completamente diversi, ma differiscono soltanto per una caratteristica distintiva.

Il fonema /b/, quindi è il risultato della combinazione di tre caratteristiche distintive:

labialità = il flusso dell’aria proveniente dai polmoni viene bloccato per un’attimo serrando, appunto, le labbra;

discontinuità: il flusso dell’aria proveniente dai polmoni viene bloccato per un’attimo;

sonorità: durante l’emissione dell’aria le corde vocali vibrano.

Possono queste caratteristiche della B trasformarsi in qualcos’altro?

No, non spontaneamente, ma una o più di esse possono essere sostituite da altre caratteristiche provenienti dal contesto: fonemi adiacenti o altro.

Affrontiamo adesso il problema della B del sardo settentrionale che avrebbe dato origine a quattro suoni diversi in latino:

  1. boe —> bos, bovem
  2. boghe = boGe —> vox, vocem = wokem (la V latina rappresentava la semivocale bilabiale)
  3. batoro —> quattuor = kwat:wor
  4. limba —> lingua = liNgwa

Messo in questi termini, il fenomeno avrebbe qualcosa di miracoloso: la moltiplicazione dei fonemi e per di più in seguito a una mutazione spontanea.

Vediamo in cosa consistono questi mutamenti:

  1. w = semivocale bilabiale: si pronuncia non ostruendo il flusso dell’aria, ma modulandolo con le labbra semichiuse, e facendo vibrare spontaneamente le corde vocali. Un mutamento spontaneo da /b/ a /w/ è poco probabile, perché la /b/ costituisce un incipit sillabico superiore alla /w/, essendo una consonante a tutti gli effetti (si veda Bolognesi 1998). Ammettendo comunque un tale mutamento spontaneo, non richiesto da alcun contesto fonologico, rimarrebbe da spiegare come mai la /b/ di boe rimanga immutata in un contesto identico.

2) kw = nesso costituito dalla plosiva velare sorda + semivocale bilabiale. Da dove proverrebbe la plosiva velare sorda? Impossibile rispondere a questa domanda.

3) gw = nesso costituito dalla plosiva velare sonora + semivocale bilabiale. Da dove proverrebbe la plosiva velare sonora? Impossibile rispondere a questa domanda. Impossibile anche spiegare la presenza della sonorità, visto che la parola sarda settentrionale chimbe ([kimbe])  avrebbe dato in latino quinque (kwinque]).

Se invece ribaltiamo il processo, si ottiene una spiegazione lineare delle differenze tra sardo settentrionale e latino:

  1. boe <— bos, bovem
  2. boghe = [boGe] <— vox, vocem = [wokem] (la V latina rappresentava la semivocale bilabiale)
  3. batoro <— quattuor = [kwat:wor]
  4. limba <— lingua = [liNgwa]

1) La forma sarda boe deriva direttamente dall’accusativo latino bovem, tramite la caduta della V e della M.L’ipotesi contraria dovrebbe spiegare da dove viene la S del nominativo latino bos.

2) La forma sarda binu deriva dal latino vinum, con caduta della M, e trasformazione della semivocale /w/ in un perfetto incipit sillabico costituito da una consonante vera.

3) I nessi consonantici /kw/ e /gw/ si fondono nella consonante /b/, che conserva la caratteristica labiale della /w/ e la sua sonorità, evitando però che questa si trovi in una posizione extrasillabica, come in latino (si veda Bolognesi 1989 per un’analisi dell’extrasillabicità).

Un fenomeno identico ha portato, nel sardo di Pattada a fondere il nesso /kj/ nella affricata sonora alveo-palatale [d3]: chiaru —> giaru.

L’elenco di fenomeni impossibili da spiegare con la teoria di Porqueddu è lunghissimo.

Questo comunque basta a mostrare che il latino non può essere derivato dal sardo.

 

 

May 16, 2019

Grammatica constrastiva 2

Ero fuori dal ristorante a fumarmi il sigaro e la ragazza si è avvicinata con la sigaretta in mano a chiedermi di accendere.

Non avevo voglia di tornare all’interno per prendere l’accendino–la ragazza era antipatica: una di quelle presuntuose–e le ho porto il sigaro.

Lei–E fa?

Io–Già fa!

Quella ragazza quasi sicuramente non aveva la più pallida idea del fatto che la nostra brevissima conversazione non si fosse svolta in italiano, ma in un sardo leggermente rilessificato, cioè sostituendo le parole sarde con delle parole (pseudo)italiane.

Probabilmente, se glielo avessi detto si sarebbe offesa: era del tipo che “Il sardo? Puuu che grezzo!”

Questo episodio è rappresentativo della reale situazione linguistica in Sardegna.

La menzogna propagata da tutti o quasi vuole che i Sardi ormai tutti parlino italiano.

La realtà è che in Sardegna praticamente tutti parlano un ibrido linguistico del tipo che ho presentato nell’esempio qui sopra.

Solo una parte dei Sardi è in grado di usare l’italiano standard, quando la situazione lo richiede.

Il risultato di questa situazione è che–con l’aggiunta ad altri fattori–la dispersione scolastica in Sardegna è stabile a livelli da record europeo: si veda l’articolo 

Ovviamente, il triste fenomeno non è dovuto unicamente alla questione linguistica, ma certamente è collegato ad essa.

Occorre prendere atto della situazione e arrivare ad insegnare l’italiano standard in Sardegna per quello che è: una lingua estranea e semisconosciuta.

E occorre far prendere coscienza ai Sardi che, come quella ragazza, si illudono di parlare un ottimo italiano, che gran parte delle strutture grammaticali che usano appartiene al sardo e non all’italiano.

Occorre, quindi, un’insegnamento contrastivo delle due lingue, per tornare a distinguere il sardo dall’italiano.

Ma ormai avviene anche il fenomeno opposto: l’italiano (o semi-italiano) sta invadendo le strutture del sardo parlato dai giovani, ma anche dai meno giovani.

È assolutamente necessario tornare a una POLARIZZAZIONE LINGUISTICA: a una situazione, quindi, in cui i Sardi sappiamo cosa distingue le due lingue l’una dall’altra.

Occorre quindi una GRAMMATICA CONTRASTIVA che metta a confronto le due lingue e aiuti i parlanti sardi a distinguere l’italiano dal sardo e viceversa.

L’obiettivo è quello di superare l’attuale situazione di commistione linguistica in cui molti parlanti sardi non riesco più a distinguere ciò che è italiano da ciò che appartiene al sardo.

La mia idea è di impostare questa grammatica a partire da esempi concreti di interferenze tra le due lingue e descrivere le differenze strutturali tra le due grammatiche sulla base di commistioni effettivamente verificatesi.

Occorrono quindi molti esempi di queste commistioni.

Invito perciò i lettori a mandare gli esempi di cui sono a conoscenza nel modo seguente:

 

  1. la frase che contiene l’interferenza deve essere completa
  2. indicare il sesso, l’età (anche approssimativa), il titolo di studio (anche dedotto) di chi produce l’interferenza
  3. indicare il contesto/situazione in cui la frase è stata enunciata

IMPORTANTE!

Inviate i vostri esempi contenenti le interferenze dall’ITALIANO AL SARDO  come commenti a questo articolo

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Gratzias a totus!

May 16, 2019

Grammatica constrastiva sardo-italiano-sardo

Ero fuori dal ristorante a fumarmi il sigaro e la ragazza si è avvicinata con la sigaretta in mano a chiedermi di accendere.

Non avevo voglia di tornare all’interno per prendere l’accendino–la ragazza era antipatica: una di quelle presuntuose–e le ho porto il sigaro.

Lei–E fa?

Io–Già fa!

Quella ragazza quasi sicuramente non aveva la più pallida idea del fatto che la nostra brevissima conversazione non si fosse svolta in italiano, ma in un sardo leggermente rilessificato, cioè sostituendo le parole sarde con delle parole (pseudo)italiane.

Probabilmente, se glielo avessi detto si sarebbe offesa: era del tipo che “Il sardo? Puuu che grezzo!”

Questo episodio è rappresentativo della reale situazione linguistica in Sardegna.

La menzogna propagata da tutti o quasi vuole che i Sardi ormai tutti parlino italiano.

La realtà è che in Sardegna praticamente tutti parlano un ibrido linguistico del tipo che ho presentato nell’esempio qui sopra.

Solo una parte dei Sardi è in grado di usare l’italiano standard, quando la situazione lo richiede.

Il risultato di questa situazione è che–con l’aggiunta ad altri fattori–la dispersione scolastica in Sardegna è stabile a livelli da record europeo: si veda l’articolo 

Ovviamente, il triste fenomeno non è dovuto unicamente alla questione linguistica, ma certamente è collegato ad essa.

Occorre prendere atto della situazione e arrivare ad insegnare l’italiano standard in Sardegna per quello che è: una lingua estranea e semisconosciuta.

E occorre far prendere coscienza ai Sardi che, come quella ragazza, si illudono di parlare un ottimo italiano, che gran parte delle strutture grammaticali che usano appartiene al sardo e non all’italiano.

Occorre, quindi, un’insegnamento contrastivo delle due lingue, per tornare a distinguere il sardo dall’italiano.

Ma ormai avviene anche il fenomeno opposto: l’italiano (o semi-italiano) sta invadendo le strutture del sardo parlato dai giovani, ma anche dai meno giovani.

È assolutamente necessario tornare a una POLARIZZAZIONE LINGUISTICA: a una situazione, quindi, in cui i Sardi sappiamo cosa distingue le due lingue l’una dall’altra.

Occorre quindi una GRAMMATICA CONTRASTIVA che metta a confronto le due lingue e aiuti i parlanti sardi a distinguere l’italiano dal sardo e viceversa.

L’obiettivo è quello di superare l’attuale situazione di commistione linguistica in cui molti parlanti sardi non riesco più a distinguere ciò che è italiano da ciò che appartiene al sardo.

La mia idea è di impostare questa grammatica a partire da esempi concreti di interferenze tra le due lingue e descrivere le differenze strutturali tra le due grammatiche sulla base di commistioni effettivamente verificatesi.

Occorrono quindi molti esempi di queste commistioni.

Invito perciò i lettori a mandare gli esempi di cui sono a conoscenza nel modo seguente:

 

  1. la frase che contiene l’interferenza deve essere completa
  2. indicare il sesso, l’età (anche approssimativa), il titolo di studio (anche dedotto) di chi produce l’interferenza
  3. indicare il contesto/situazione in cui la frase è stata enunciata

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July 24, 2018

Lingua e ideologia sardignola

Uno dei pilastri dell’ideologia sardignola è la convinzione che i Sardi parlino benissimo l’italiano.
Sarebbe proprio l’uso dell’italiano a dimostrare che i sardi sono italiani a tutti gli effetti, perfettamente integrati “nel resto della penisola”.
Questa fesseria colossale è già stata smentita, già negli anni ottanta, da due studiosi che possiamo tranquillamente definire come acerrimi nemici della lingua sarda: Cristina Lavinio e Giulio Angioni.
I due, evidentemente più impegnati a gettare palate di merda sul sardo, hanno avuto poca influenza sul modo sardignolo di guardare alla questione linguistica in Sardegna.
Infatti, per i sardignoli e le autorità italiane in Sardegna, non esisterebbe alcuna questione linguistica: “ormai tutti i Sardi parlano italiano”, no?
Infatti, tutti i vari e scarsi provvedimenti per contrastare la drammatica dispersione scolastica e gli sconfortanti risultati ai test INVALSI, evitano di fare riferimento a qualsiasi questione linguistica.
L’assunto implicito parrebbe essere che, visto che i ragazzi sardi non imparano più il sardo a casa, essi imparino l’italiano standard.
Quindi, i problemi che risultano dalla scarsa conoscenza dell’italiano standard da parte dei ragazzi, non sarebbe un problema sociale–malgrado le dimensioni–ma un problema individuale dovuto “alla scarsa istruzione dei genitori”.
Nessuna autorità sardignola o italiana vuole/può ammettere che in Sardegna esista una drammatica questione linguistica: tutto il loro apparato ideologico a sostegno dell’italianità dei Sardi crollerebbe.
Se la scuola italiana di Sardegna ammettesse che l’italiano regionale non è italiano e che l’italiano standard andrebbe insegnato come L2 nell’isola, per i sardignoli si spalancherebbero gli abissi dell’inferno.

Eppure l’evidenza è lì, sotto gli occhi di tutti, meno che della scuola e dell’università italiane di Sardegna.

Il piccolo test che ho proposto ai miei contatti non sardi ha dato i seguenti risultati: Pietro Cociancich e Federico Focosi–che ringrazio–hanno provato a tradurre le frasi in questo cosiddwtto “italiano”, ma, come prevedibile sono rimasti lontani dalle risposte corrette:

1) Già ne voleva di Orietta Berti! = Era molto meglio di O.B.!
2) Camminando, l’hanno visto = L’hanno visto camminare
3) Ancora a andarci sono = ancora non ci sono andato
4) Non voglio a scendernela voi l’immondezza = non voglio che l’immondezza la portiate voi di sotto
5) Già non ne mangia di dolci quello! = Quanti dolci mangia, quello!
6) Piccolino quel monte! = quanto è grande quel monte
7) Senza baffi rimane! = che baffi enormi ha!
8) insalata senza condire a ne vuoi? = vuoi dell’insalata non condita?
9) sono a brutta voglia = ho la nausea
10) fagli caracara = accarezzalo
11) non fa! = non si può fare

Phil Ippo ha tradotto correttamente quasi tutte le frasi, ma ha vissuto in Sardegna.
Dalla mancanza di reazioni non si dovrebbe dedurre nulla, ma se traduco questi calchi dal sardo in olandese, questi risultano incomprensibili, come pure in italiano.
Le strutture grammaticali del sardo permeano quelle dell’italiano cosiddetto di Sardegna.
Le autorità sardignole e italiane devono negare questa realtà per giustificare gli attuali rapporti di forza.
Pensate a cosa succederebbe a Pigliaru–il figlio di …-se ammettesse che in Sardegna pochissimi parlano davvero italiano.
Potrebbe perfino resuscitare!

July 1, 2018

Trenta piccoli esperti

Ci sto ancora pensando a quello che non mi va bene della legge regionale che ufficializza il sardo.
Quello che mi va peggio è questa consulta composta da trenta “esperti” di lingua sarda.
Lampu!
Trenta esperti…
“La Consulta svolge anche una funzione consultiva nei confronti della Regione per l’applicazione delle norme. Ne fanno parte trenta componenti. Tra questi: l’assessore alla Cultura, un dirigente dell’amministrazione, quattro rappresentanti di Anci e Cal, quattro dal mondo dell’università, dodici esperti eletti dal Consiglio regionale e otto dalla Giunta.” (http://www.lanuovasardegna.it/…/sardegna-approvata-la-legge…)

Cosa sarebbe mai un “esperto” di lingua sarda e chi decide che si tratti di un esperto?
Fareste progettare un ponte a un “esperto di ingegneria civile” proclamato tale dalla giunta regionale o dal consiglio e non da un’università?
Gli esperti di lingua sarda sono quei linguisti che lavorano sul sardo.
Linguisti laureati: esperti a un certo livello.
Linguisti con il PhD: esperti a un livello superiore.
Linguisti che comunque con i loro titoli e lavori hanno dimostrato di avere esperienza nel campo della linguistica sarda.
E chi decide chi sia un esperto di lingua sarda?
Ovviamente non i politici, fieramente ignoranti in materia, ma gli esperti stessi: i famigerati “addetti ai lavori”.
Come sempre, le questioni scientifiche non possono essere “democraticamente” affidate ai politici, perché per poter discutere di certe questioni, beh!, bisogna pure capirci qualcosa.
Invece la legge permette alle università (italiane di Sardegna: per dire quanto le stimo) la nomina di soli quattro “esperti”, da mettere sullo stesso piano degli altri, nominati dai politici.
Un branco di autoproclamati esperti, mosso da motivazioni partitiche e totalmente ignorante di linguistica–come abbiamo abbondantemente visto–, dovrebbe guidare la politica linguistica della Sardegna.
Chi ha introdotto questo articolo nella legge sapeva benissimo di condannare la Consulta alla paralisi.
E per non correre proprio nessun rischio: trenta incompetenti trenta!
Questa legge–meglio di niente–non produrrà comunque nulla di buono.
A gestire la legge sulla lingua sarà un branco di incompetenti proclamati esperti da altri incompetenti.
Nel mentre il sardo si estingue e voi discutete di politica italiana.
Ma coddai.si sa saludi!

LANUOVASARDEGNA.IT
La limba sarà materia di insegnamento, presto in tv e alla radio. Riconosciute anche le altre lingue parlate nell’isola: catalano, gallurese, sardo e tabarchino
April 27, 2018

Perché “filius” non può derivare da “fizu”, ma “fizu” deriva in modo semplicissimo da “filius”

Non avrei voluto dare altra attenzione a quel mucchio di fesserie pubblicato dalla Nuova Sardegna e addirittura dall’ANSA, visto che il loro intento è chiaramente quello di ridicolizzare chi si occupa di sardo.
Purtroppo però diversi dei miei contatti sono cascati nel tranello e adesso mi rimproverano di comportarmi da barone e di non prendere sul serio la possibilità che questo ennesimo linguista-fai-da -te possa avere ragione: Orni Corda per tutti.
Per loro–e solo per loro–voglio allora spiegare perché far derivare “FILIUS” da “FILZU” è una pillonata grande come il monte di Marganai, talmente grande che prenderla anche solo un po’ sul serio ti squalifica.
Presento allora i vari passaggi fonetici che hanno portato dal latino FILIUS al sardo sett. FIZU.
Uso l’alfabeto fonetico X-SAMPA e con questo link (http://aveneca.com/xipa.html

) potete tradurlo in IPA.

La prima cosa da osservare è che la forma FILZU proposta dal nostro intrepido linguista instancabile non è attestata né in sardo né altrove.
Semplicemente non esiste e questo dovrebbe essere già sufficiente a chiudere questa discussione surreale.
Il passaggio opposto è invece lineare e attestato in tutte le sue fasi.

centro-sett.                                > fidZu > fidzu
filius > filjus > fiLu >
mer.                                             > fil:u

Come venisse pronunciata la parola FILIUS nella fase preclassica del latino non lo so, ma si sa che la lettera I, davanti a una vocale, nel latino classico si pronunciava come la semivocale [j]: filjus quindi.
Come ho abbondantemente argomentato nella mia dissertazione (The Phonology of Campidanian Sardinian: compratevela dalla Condaghes), una sonorante (che tale è la [j]) in quella situazione non riceve una posizione sillabica e diventa “instabile”: tende a sparire, come si vede in decine di lingue in tutto il mondo.
Un modo attestato di eliminare la vocale palatale [j] è quello di farla fondere con la consonante precedente: [lj] > [L].
[L] rappresenta il suono presente nell’italiano FIGLIO.
La forma [fiL:u] è attestata, per esempio a Seui, sul Gennargentu, lontano dagli influssi magici del pisano medievale.
Il suono che ne deriva è [L:], la liquida palatale geminata e questo suono è assente nella gran parte dei dialetti meridionale, nei quali, per esempio, il prestito BOTTIGLIA si pronuncia [butil:ja].
Nei dialetti meridionali del sardo, quindi, la forma [fiL:u] è passata a [fil:u], con la liquida alveolare al posto della palatale.
Si noti che il processo inverso [coronale > palatale] diventa impossibile senza suoni palatali adiacenti.
Nei dialetti di Mesania, il suono [L] si è desonorizzato (è diventato una consonante vera e propria), conservando però il punto di articolazione palatale: [dZ], ragion per cui in LSC la parola si scrive FIGIU.
Nuovamente, si noti che il passaggio inverso ([dZ] > [L:]) è impossibile: l’ostruente [dZ] costituisce un’incipit sillabico preferito a quello costituito dalla sonorante [L].
Nei dialetti più settentrionali rispetto alla Mesania, anche [dZ] si è depalatalizzato ed è passato all’affricata alveolare [dz].
In questi dialetti, anche prestiti come GENTE e PARIGI mostrano l’affricata alveolare al posto della palatale: [dzente], [paridzi].
E ancora una volta, si tratta di un processo irreversibile: la palatalizzazione si verifica soltanto in concomitanza con la coarticolazione di una palatale. Se manca questa è semplicemente impossibile.
Fonetica articolatoria elementare.
Se poi aggiungiamo che la forma FILZU non esiste da nessuna parte, vediamo che affermare che da questo niente sia derivata la forma latina FILIUS, attraverso una serie di passaggi impossibili foneticamente, è semplicemente ridicolo.
E adesso che ve l’ho spiegato, cari i miei critici, abbiate l’umiltà di ammettere che un linguista è un linguista, mentre un cagallone rimane un cagallone.

April 11, 2018

La dislessia di Deriu e la nuova legge sul sardo

 

In questi giorni sono apparsi degli interventi polemici sulla proposta di legge 167: ” Norme volte ad incentivare l’insegnamento della lingua sarda nelle scuole di ogni ordine e grado della Regione. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 15 ottobre 1997, n. 26 (Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna)”.

Interventi che, per motivi noti a tutti quelli che si interessano di sardo, non meritavano alcuna attenzione.

Erano Pro domo sua, e questo lo sanno tutti.

Ma ieri, sulla Nuova Sardegna è apparso l’intervento di Roberto Deriu, consigliere regionale del PD: La lingua sarda è una: lo negano solo i reazionari.

Esss, mi son detto!

Devo aver letto male il testo della legge…

Sono tornato a leggermela e ho trovato questo:

Art. 4

Compiti della Regione

[…]

3. La Regione adotta, per la lingua sarda, una norma ortografica di riferimento e una norma linguistica di riferimento. 

C’è scritto: UNA NORMA

e poi, più avanti, ho trovato questo:

Art. 9

Norma ortografica e norma linguistica di riferimento della lingua sarda

1. La Regione promuove, attraverso una procedura trasparente e partecipata, la definizione di: a) una norma ortografica di riferimento della lingua sarda; b) una norma linguistica di riferimento della lingua sarda, nella sua forma scritta.

Anche all’articolo 9 c’è scritto UNA NORMA

Ora, come i miei lettori sanno benissimo, io sono completamente d’accordo che il sardo sia una lingua e non due e, modestia a parte, mi sembra anche di averlo abbondantemente dimostrato, n’est ce pas?

Tanti po ddu nai in sardu.

Non capisco bene, nel testo della proposta di legge, cosa voglia dire “norma linguistica”, e invito i proponenti a farsi capire meglio, ma non ho dubbi sul fatto che si parli di UNA NORMA.

Che Roberto Deriu sia dislessico?

La mia paura si rafforza leggendo il seguente passaggio: “Ma non si ferma qui: ipotizza che di lingue sarde ce ne sia più di una, facendo leva sul concetto di “variante”. Tale ipotesi si esplicita in modo particolare laddove si definisce pleonasticamente la lingua sarda “nelle sue varianti storiche e locali” (articolo 1, comma 2), ma soprattutto nella lettera (b dell’art. 2, dove le varianti vengono definite come le “macro varianti letterarie logudorese e campidanese”.”

Francamente non capisco di cosa Deriu stia parlando.

Da nessuna parte nella proposta di legge ho letto che il sardo sarebbe due lingue al posto di una.

Quanto alle varianti, all’articolo 2 si legge:

b) per “varianti storiche e locali della lingua sarda” s’intendono: le macrovarianti letterarie logudorese e campidanese e le parlate diffuse nelle singole
comunità locali;

Ora, io sono uno di quelli che hanno mostrato che, linguisticamente, il sardo non può essere diviso in logudorese e campidanese.

Ma questo non cambia niente al fatto che esistano due tradizioni letterario-ortografiche, che, pur non avendo mai ricevuto una standardizzazione effettiva, hanno a polarizzato l’ortografia di molti sardi.

Poi esiste una diffusa, quando linguisticamente infondata, percezione di una polarizzazione tra dialetti centrosettentrionali e dialetti meridionali.

Percezione basata soprattutto sulla banalizzazione delle già banali idee di Wagner da parte degli scribacchini sardignoli.

Fatto sta che la suddivisione sociale del sardo nelle due fantomatiche varietà linguistiche è per molti sardi una realtà.

Logudorese e campidanese non esistono nella lingua, ma nella società.

Detto questo, il progetto di legge non propone due differenti norme di riferimento per il sardo.

Dove possa aver letto il consigliere Deriu questa proposta di divisione del sardo in due rimane per me un mistero.

Io leggo sempre e solo la proposta di UNA NORMA.

All’articolo 2. si legge:

d) per “norma ortografica di riferimento” s’intende: l’insieme di regole generali, convenzionalmente definite, di rappresentazione ortografica dei suoni della lingua sarda;

e) per “norma linguistica di riferimento” s’intende: l’insieme di regole sintattiche, morfologiche e lessicali che definiscono lo standard della lingua sarda.

All’articolo 2-e si parla di STANDARD, UNO STANDARD, cosa per me non necessaria, vista la grande unitarietà grammaticale del sardo.

Si parla di uno standard, non di un doppio standard.

Insomma, perché Deriu senta il bisogno di scrivere: “Negare l’unitarietà della lingua sarda è un’ipotesi che bisogna con franchezza definire reazionaria. La proposta compie un passo indietro anche rispetto alla legislazione statale della 482/99 che considera il sardo come una espressione linguistica unica. Per capire di cosa parliamo, pensiamo all’italiano: in alcune regioni si dice anguria, in altre cocomero: sono due lingue diverse? No, sono geosinonimi; esattamente come sceti e petzi. E ciò non fa di “logudorese” o “campidanese” due lingue diverse.” rimane per me un enigma.

E non è neanche vero–ma questo Deriu non lo dice–che la legge voglia  affossare la LSC.

Deriu non lo dice, ma diversi di quelli che scrivono PRO DOMO ISSORO lo hanno scritto.

All’art. 9.4 si legge:

4. Nella definizione della norma linguistica di riferimento della lingua sarda, la commissione tiene conto delle norme di riferimento adottate dalla Regione a carattere sperimentale per la lingua scritta in uscita [LSC] dell’amministrazione regionale e degli esiti della sua sperimentazione.

Insomma, davanti a simili fraintendimenti, l’ipotesi più benevola è che Deriu e i suoi ispiratori siano tutti dislessici.

March 6, 2018

Gli ignoranti alla riscossa

Poche settimane fa, Philippe Daverio indicava i “pastori galluresi” come esempio di arretratezza barbara, equivalenti agli islamisti dell’IS e oppressori di donne.

È di ieri la notizia che un pastore sardo, anzi, un pastoresardo,  Luciano Cadeddu,è stato eletto alla Camera con i Cinque Stelle.

I commenti non si sono fatti attendere.

Ovviamente sono in linea con il sarcasmo sui congiuntivi di Di Battista   e sul curriculum di Di Maio.

Un pastoresardo, quindi, il non plus ultra dell’ignoranza, poserà le sue chiappe odoranti di pecora su uno dei sacri scranni del Parlamento.

Mi chiedo cosa dirà Philippe Daverio.

Mi chiedo cosa scriveranno i giornali italiani quando arriveranno le sue inevitabili gaffe di principiante.

Quello che queste merde umane non hanno capito è che queste elezioni hanno dimostrato che la gente normale non crede più alle fandonie che le “élite qualificate” raccontano per giustificare la loro permanenza al potere.

È vero, le élite sono qualificate, ma è anche vero che le élite fanno esclusivamente i propri interessi: non occorre la laurea per capirlo, basta guardarsi attorno.

Le élite si arricchiscono alle spalle degli altri (vedere qui, per esempio) e giustificano i propri privilegi, in genere ereditari, con il fatto di essere qualificate.

Il populismo è una reazione alla sfacciataggine oscena delle élite.

Il qualificatissimo Daverio, per esempio, non sa che il cosiddetto “delitto d’onore” in Sardegna era sconosciuto, quando in Italia imperversava ed era riconosciuto come attenuante nei casi di uxoricidio.

Daverio è qualificatissimo a riprodurre le conoscenze e i pregiudizi delle élite.

Il fenomeno, ovviamente, non è limitato all’Italia.

In Olanda, a partire dagli anni Novanta, il termine “lavoratore” è stato sostituito dall’aggettivo complesso “laagopgeleid” (con un basso livello di istruzione).

Voila! La posizione sociale di una persona spiegata e giustificata da un eufemismo che significa semplicemente “ignorante”.

Inutile aggiungere che anche il PvdA (Partito del Lavoro) ha adottato il termine politicamente corretto e sprezzante nei confronti di coloro che avrebbe dovuto rappresentare.

Quell’operazione linguistica era, ovviamente, parte del processo generale di adesione al liberismo, in corso in quegli anni.

Altrettanto ovviamente, il PvdA è stato spazzato via alle elezioni dell’anno scorso, che vedono il partito populista di estrema destra di Geert Wilders diventare il secondo partito.

Insomma il re è nudo anche lì e abili demagoghi ne approfittano almeno temporaneamente.

Il prossimo parlamento italiano sarà composto per metà da populisti “ignoranti”.

La vaselina delle élite qualificate non funziona più.

Finito bobbó!

Adesso saranno cazzi amari per tutti, ma non è che finora siano stati dolcissimi.

È primavera…