Archive for November, 2013

November 30, 2013

E se vi metteste a studiare un po’?

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Nisciunus est nasciu imparau…

Improvvisamente, quando si tratta del sardo, questa antica e saggia massima popolare viene dimenticata.

Tutti–moltissimi, insomma–pretendono di poter leggere e scrivere il sardo senza dover imparare niente di nuovo, semplicemente usando le convenzioni grafiche dell’italiano che hanno appreso alle elementari dalla loro venerata maestra.

Eppure bastano poche ore di corso di fonologia per “dealfabetizzarsi” e “rialfabetizzarsi”.

Io quest’esperimento l’ho già fatto tante di quelle volte che non si può nemmeno più parlare di esperimento: è un dato di fatto.

Chiunque è in grado di leggere un testo in Grafia Sarda Comuna, o anche in LSC, nel proprio dialetto, dopo che ha capito qual’è il rapporto, necessariamente più astratto e indiretto, ma logico e coerente, tra ortografia e pronuncia del sardo.

Quando si capisce questo, diventa chiaro come sia possibile avere uno standard ortografico e mantenere, allo stesso tempo, tutta la ricchezza delle varianti locali.

Tutta la propaganda antistandard dei linguisti delle caverne e dei loro allievi si sgonfierebbe in un attimo.

Il problema è che occorrerebbe organizzare dei corsi di fonologia per gli insegnanti di sardo, così che loro possano insegnare ai bambini come passare dalla pronuncia locale alla scrittura e viceversa.

Ma la “linguistica sarda” è in mano ai linguisti delle caverne e costoro aborrono le novità.

“Cupidi rerum novarum non sumus!”, come avrebbe detto Cesare.

Figuriamoci! La fonologià esiste da meno di un secolo–la scuola di Praga è roba degli anni Trenta–e non è ancora frollata abbastanza da poterla imparare.

A primu depit bogai su bremini!

I fonologi sardi sono soltanto due: il sottoscritto e Lucia Molinu.

Io in Olanda e Lucia in Francia.

La vostra ignoranza è più che giustificata.

Non rimane altro da fare che porvi rimedio, da parte mia, scrivendo un manuale di fonologia, scrittura e pronuncia del sardo.

Questa sarà la mia prossima impresa.

In queste settimane completerò la traduzione de “Su cuadorzu” e poi mi metterò al lavoro.

Ah, sono arrogante?

No, sono solo un fonologo.

E voi no.

Se accetterete questa semplice verità vedrete che tutto in fondo è molto più semplice di quello che sembra.

November 29, 2013

Fatti non foste per viver come bruti

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Una delle cose più sorprendenti della fauna accademica italiana in Sardegna è la mancanza totale di curiosità scientifica di molti dei suoi membri.

Le cause di questo fenomeno sono molteplici e quest’analisi di Omar Onnis offre delle spiegazioni in gran parte condivisibili: http://sardegnamondo.blog.tiscali.it/2013/11/27/poverta-culturale-peggio-delle-privazioni-materiali/

Onnis dice: “La linguistica è militarmente presidiata dalla glottologia ottocentesca, con una netta prevalenza del conservatorismo più oscurantista, per giunta ossessivamente italocentrico e italianocentrico.”

La conseguenza principale di questa situazione è il fatto che i linguisti delle università italiane di Sardegna si limitano a riprodurre le “conoscenze” esistenti, resistendo eroicamente a qualsiasi dubbio e a qualsiasi curiosità sulla fondatezza di queste “conoscenze”

Come esempio vedete questo passaggio tratto dal mio libro in corso di pubblicazione:

“Il naturalista Francesco Cetti, sbarcato in Sardegna nel 1765, con lo scopo di studiare la fauna dell’isola, definisce la situazione nel modo seguente: «Si divide pure questo continente in parte meridionale, e in parte settentrionale con altri nomi, chiamando la parte meridionale Capo di sotto, e la settentrionale Capo di sopra. L’appellazione è fondata sulla verità: andando da mezzodì a tramontana si va sempre montando, dove più dove men sensibilmente, laonde la parte settentrionale viene realmente a essere più elevata dell’altra; inoltre nella parte meridionale si trova la massima pianura dell’isola, perciò la parte settentrionale fa vista di più montuosa ed ardua e la meridionale di più piana ed umile. Ma i confini di questi due Capi di sopra e di sotto non sono bene definiti; fra Bonarcado e Santu Lussurgiu comincia per tutti il Capo di sopra, perché ivi l’elevazione è in realtà più sensibile, ma poi procedendo verso levante la linea di divisione si smarrisce; uguale montuosità si trova a destra, e a sinistra, cessa il fondamento della divisione, e la divisione non è più che arbitraria, e incerta, onde in luogo medesimo si trova chi si ascrive al Capo di sopra, e chi a quel di sotto. Il più naturale sarebbe tirare in avanti la linea incominciata sopra Bonarcado, facendola passare per Fonni, dividendo così tutto il regno in due parti uguali, e la metà meridionale sarebbe il Capo di sotto, per essere nella massima parte più umile e più bassa della metà settentrionale, che sarebbe il Capo di sopra. In alcuna cosa si distinguerebbe però allora tuttavia il Capo di Sotto dal Capo di Cagliari; la molteplicità delle divisioni non può produrre se non confusione, però meglio sarebbe avere per ora per una stessa cosa Capo di Cagliari, e Capo di sotto, come molti fanno, e come intenderò io pure innanzi.» (Cetti, 2000:63-64)

Come si può vedere, Cetti ha il problema “pratico” (amministrativo?) di dividere la Sardegna in due parti uguali, basandosi, per esempio, sull’orografia. Ben conscio del fatto che una tale suddivisione è arbitraria, decide comunque di effettuarla.

Alla cartina seguente (Cartina 6.1) è stata aggiunta la linea ideale che il Cetti voleva tracciare sulla base dell’orografia della Sardegna. La linea passa leggermente a nord di Fonni.

sard-fis

Come si vede, l’idealizzazione proposta dal Cetti non trova riscontro nella realtà: il Capo di sotto, come da lui proposto, contiene sì la pianura principale, ma anche quasi per intero il massiccio del Gennargentu (il più elevato della Sardegna), oltre ad altri tre complessi di montagne con diverse cime che superano i 1000 metri di altitudine. Quanto alle zone pianeggianti, oltre al Campidano, poi, si trovano soltanto la piana del Cixerri e la parte pianeggiante del Sulcis.

A questo punto, e in modo ancora più sommario, Cetti decide anche di suddividere la lingua nazionale della Sardegna[1] in due varietà che, a questo punto necessariamente, devono corrispondere alla suddivisione dell’isola in due capi: «Nella lingua propriamente sarda il fondo principale è italiano; vi si mischia il latino nelle desinenze, e nelle voci; vi è pure una forte dose di castigliano, un sentor di greco, un miscolin di franzese, altrettanto di tedesco, e finalmente voci non riferibili ad altro linguaggio, che io sappia. Voci prettamente latine sono Deus, tempus, est,  homine, ecc.; latine sono le desinenze in at, et, it, us, nella coniugazione dei verbi; dicono meritat, devet, consistit, dimandamus. Parole castigliane sono preguntare, callare, querrer ecc.; e castigliane sono le deninenze in os, peccados, santos, ecc. Le terminazioni in es, dolores, peccadores, ecc. rimane libero ad ognuno avere per latine, o per castigliane. Il sapor di greco lo pretendono alcuni sentire negli articoli su, sos, is; e dicendo berbegue per pecora, non pare questo un poco del brebis franzese? E dicendo si sezer per sedersi, non ha questo l’odore del sich sezen tedesco? Como per adesso, petta per carne, e altri vocaboli non so che sieno analogi per altre lingue. Due dialetti principali si distinguono nella medesima lingua sarda; ciò sono il campidanese, e ‘l dialetto del Capo di sopra. Le principali differenze sono, che il campidanese ha in plurale l’articolo tanto maschile quanto femminile is e ‘l Capo di sopra dice in vece sos e sas; inoltre il campidanese termina in ai tutti i verbi che il Capo di sopra finisce in are, non senza altre differenze di parole, e di pronuntzia.» (Cetti, 2000:69-70)

Cetti, chiaramente, non era un linguista, né sarebbe potuto esserlo in quel tempo. Dopo aver tracciato una divisione geografica della Sardegna, che lui stesso ammette essere arbitraria, fornisce due caratteristiche, in base alle quali l’isola si può – visto che, per lui, si deve – dividere anche linguisticamente in due. Tutto qui.

Marinella Lőrinczi, sulla base di questo brevissimo passaggio di Cetti – naturalista, ribadiamo, non linguista – che lei oltretutto non cita letteralmente, ritiene di poter trarre le seguente conclusioni: «La percezione tradizionale dei dialetti sardi viene registrata nel Settecento dal naturalista Francesco Cetti nell’introduzione ai Quadrupedi di Sardegna» (1774, ora in Cetti 2000: 70). Il Cetti linguista è stato segnalato per la prima volta in Lőrinczi (1993). Per Cetti il complesso linguistico sardo si divide nel dialetto del Capo di Sopra (detto anche Capo di Sassari) e in quello del Capo di Sotto (o del Capo di Cagliari), cioè il campidanese in senso lato. Egli fornisce anche le principali ‘isoglosse’ in base alle quali si operano (tradizionalmente?) tali distinzioni: l’articolo determinativo plurale “is” del campidanese è indifferente ai generi, mentre i dialetti del Capo di sopra oppongono sos~sas; in secondo luogo, alla desinenza -ai dell’infinito campidanese corrisponde -are nel Capo di Sopra; a queste differenze se ne potrebbero aggiungere altre “di parole, e di pronunzia” [per altre annotazioni fatte dal Cetti “linguista” v. Lőrinczi 1993, ma soprattutto il Cetti stesso, recentemente ripubblicato].[2]

Quello che Lőrinczi tralascia di riportare è il fatto che, ai tempi di Cetti, gli abitanti stessi della zona centrale non sapevano esattamente a quale capo appartenessero: «[…] onde in luogo medesimo si trova chi si ascrive al Capo di Sopra, e chi a quel di Sotto.» Possiamo quindi, sulla base di quello che il Cetti medesimo riporta, escludere che la divisione netta della Sardegna in due capi sia qualcosa che i Sardi stessi effettuavano “tradizionalmente” almeno là dove tale distinzione poteva essere rilevante. Inoltre, non si comprende né perché le due ‘isoglosse’ menzionate dal Cetti debbano essere considerate “principali”, né da chi.

Per quanto riguarda, poi, l’incapacità dei parlanti del sardo di attribuire la loro varietà locale a questo o a quel “capo”, la stessa Lőrinczi ammette che, a distanza di due secoli e mezzo, la situazione è rimasta immutata: «È inoltre rilevante che l’argomento di tale domanda si colloca ad un livello tassonomico basso: la domanda, cioè, teneva conto del fatto che i parlanti delle varietà locali non hanno e non possono (ancora) avere una diffusa consapevolezza (colta, dotta) dell’appartenenza del sardo, se preso complessivamente, ad un livello tassonomico corrispondente a un diasistema o ad una macrolingua (il sardo, per il momento, è e va considerato una macrolingua); quanto meno tale consapevolezza risulta essere labile. Secondo quanto precisava Anna Oppo durante la nostra conversazione, persino le etichette della classi “campidanese”, “logudorese” ecc. (che sono taxa intermedi riconosciuti scientificamente come tali) erano scarsamente applicabili al livello di consapevolezza dei parlanti, i quali spesso preferivano usare glottonimi o circonlocuzioni glottonimiche relativi alla stretta arealità locale (regione storica, località). Ciò si collegava alla ridotta familiarità dei soggetti intervistati con le tematiche di politica linguistica.”( Lőrinczi, 2011:7)[3]

Lőrinczi qui si appella all’autorità di uno zoologo del ‘700 per giustificare la suddivisione in due del sardo.

Viene immediatamente da dire: “Ecchissenefrega di quello che diceva uno zoologo nato e morto ben prima che la linguistica nascesse?”

In effetti l’appoggiarsi all'”autorita” di un Cetti pseudolinguista è sintomo della mentalità ultraconservatrice menzionata da Onnis.

Più antica è la fonte citata, maggiore è la sua autorità.

Che poi Cetti dica fesserie colossali sui rapporti del sardo con altre lingue è del tutto secondario.

Come è secondario il fatto che, molto onestamente, Cetti stesso ammetta che i gli abitanti delle zone centrali non sapevano a quale capo appartenevano.

E figuriamoci!

Tutto fa brodo…

Non si tratta infatti di stabilire se una certa teoria–la suddivisione in due della Sardegna linguistica–sia giusta o sbagliata, ma di fornire argomenti–anche i più scalcagnati–a conferma della verità ufficiale ed eterna propagata dalle “autorità”.

Chiaramente, Lőrinczi interpreta il proprio ruolo come quello di riproduttrice delle “conoscenze” esistenti e non come produttrice di nuove conoscenze.
E non solo lei.
Ecco come è potuto avvenire il miracolo della canonizzazione della linguistica storica di Santu Max:  «raramente lo sviluppo delle conoscenze scientifiche su una lingua è legato in maniera così stretta alla figura di uno studioso come è accaduto per il sardo con Max Leopold Wagner» (G. PAULIS, Prefazione a M. L. WAGNER, La lingua sarda. Storia, spirito e forma, a cura di G. Paulis, Nuoro, Ilisso, 1997 (Bern, Francke, 1950), pp. 7-38, a p. 7.)
Basta ignorare o osteggiare tutto quello che è stato fatto da altri e altrove e limitarsi a cercare conferme a favore di Santu Max.
Ma questa, purtroppo per loro, non è scienza, ma religione–nella migliore delle ipotesi–o, piuttosto, rendita parassitaria.
“Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza…”
Eja, de linna!


[1]  «Le lingue che si parlano in Sardegna si possono dividere in istraniere e nazionali» (Cetti, 2000:69). Chiaramente, per

Cetti, che scrive prima della rivoluzione francese, i concetti di stato e nazione sono ancora separati.

November 25, 2013

Il dimezzamento del sardo fra scienza e politica

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Non facciamola troppo difficile e lasciamo in pace il povero Popper.

Esiste una teoria sul sardo che dice: “Il sardo è diviso in due varietà: il campidanese e il logudorese”.

Lasciamo stare come sia nata questa teoria: leggetevi pure il mio libro.

Infatti non è assolutamente interessante, da un punto di vista scientifico, come sia nata una certa teoria e da chi sia stata proposta.

L’unica cosa che conta è poter verificare se questa teoria sia giusta o sbagliata.

L’errore compiuto dal linguisti tradizionali–evidentemente digiuni di metodologia scientifica–è stato quello di comportarsi non da scienziati, ma da avvocati della suddetta teoria.

Non sono cioè andati a cercarsi tutti i dati disponibili, ma soltanto “le prove a favore”.

Questo va benissimo in un processo: l’avvocato ha il compito di far vincere la causa al suo cliente.

Ma non va bene nella scienza, la quale non ha il compito di far prevalere questa o quella di teoria, ma solo di verificarle (dovrei dire di falsificarle, ma lasciamo andare).

Il primo che ha sottoposto a verifica la teoria della divisione in due del sardo è stato Michel Contini.

Probabilmente questa non era nemmeno la sua intenzione, visto che anche Contini si considera un debitore di Wagner, ma di fatto le cose stanno così.

Cosa ha fatto Contini?

Ha preso in considerazione una massa imponente di dati, e non solo quelli che potevano confermare o falsificare la teoria.

Il risultato lo presento qui sotto, per l’ennesima volta.

cartina_pag17

Traete da voi le vostre conclusioni.

L’altra verifica l’ho fatta io, con l’aiuto determinante di Wilbert Heeringa, per la parte computazionale.

La metodologia impiegata è tutta dichiarata nel mio libro: COMPRATEVELO!

Questa metodologia garantisce la presa in considerazione di tutti–ma secondo Popper TUTTI non si può dire–o quasi tutti i fenomeni fonetici esistenti all’interno della parole in 75 dialetti sardi.

E il risultato è ancora una volta il seguente.

cartina senza divisioni

Ma ovviamente, fin qui abbiamo giocato al gioco degli avvocati della divisione del sardo, che usano soltanto argomenti fonetici.

La lingua, però, non consiste soltanto di suoni e di parole, ma anche di un lessico, di una sintassi e di una morfologia.

Insomma, se vogliamo affrontare il problema seriamente, non possiamo limitarci a prendere in considerazione soltanto quello che ci fa comodo, perché allora si fa politica e non scienza.

Io questo lavoro l’ho fatto e, se non avete voglia di cercare nell’archivio del blog, potete aspettare che esca il libro: ormai ci vuole poco.

Risultato della mia ricerca: dal punto di vista fonetico, qualsiasi dialetto sardo differisce mediamente del 20% da qualsiasi altro, con le distanze più grandi che non arrivano al 40% e rimangono nettamente inferiori a quelle tra un qualsiasi dialetto sardo e l’italiano; il lessico è unitario per almeno il 90% circa, tenendo presente che le stesse parole sono pronunciate diversamente in varietà differenti; stesso discorso per la sintassi: unitaria per almeno il 90%; la morfologia è ugualmente praticamente identica, ma mostra una grande variazione in termini di composizione fonematica dei morfeni nel paradigma verbale, il quale è–dal punto di vista della composizione fonematica–estremamente variabile e questa variabilità non è riconducibile alla tradizionale (politica) suddivisione del sardo in “campidanese” e “logudorese”.

Stabilito questo, visto che il libro affronta il problema generale delle identità linguistiche dei Sardi, le conclusioni che traggo sono le seguenti:

i margini individuali dell’identità linguistica di un Sardo sono definiti in modo obiettivo dalle strutture condivise da tutte le varietà della lingua. Dato che, alla fine, l’identità è una questione individuale, nessuno può (e nemmeno vuole) impedire, per esempio, al nostro amatissimo Mauro Podda di sentirsi linguisticamente “campidanese” e non sardo, e di comportarsi di conseguenza, ma dato che i margini linguistici della sua identità sono quello che sono–molto ristretti–sarà costretto a contorcersi come un’anguilla–cosa che fa effettivamente–per negare che la sua identità è di natura psicologico-politica e non linguistica. Così potrà forse pretendere di non capire un Orunese, ma non può impedire che un Orunese capisca lui!

E ora, visto che la discussione sull’altro post si è ridotta a una specie di seduta spiritica, in cui i fantasmi dei linguisti delle caverne svolazzano, disturbando il sonno dei giusti, se volete ricevere delle risposte, firmatevi con nome e cognome.

Altrimenti sarete bannati.

November 24, 2013

La lingua: ci unisce o ci divide?

http://www.let.rug.nl/~heeringa/sardegna/norm/den.png

Torniamo alla normalità dell’anomalia sarda e all’alienazione linguistica di questa classe dirigente che, con la complicità dello stato italiano, ci ha regalato, tra l’altro, questa nuova tragedia.

Una lettrice che si firma Peppizzu, giorni fa, mi ha chiesto di pubblicare il clustering binario dei dialetti presi in esame nella mia ricerca: Eccolo quassù.

Questa figura dovrebbe rendere felici i sostenitori del dimezzamento del sardo.

Eccovelo qui, diviso in due!

Se fosse una cartina a colori, vedremmo il blu arrivare fino ad Aritzo/Desulo e il rosso cominciare da Seneghe/Laconi.

Li vedo già i dimezzatori ballare di gioia e assegnare l’etichetta “campidanese” al sardo di Seneghe e Laconi, e quella di “logudorese” a quello di Aritzo e Desulo.

Penso però che chi conosce i dialetti in questione rimarrà almeno un po’ perplesso.

I dati su cui si basa il clustering e anche tutte le cartine li trovate qui:

 datos, cartinas e figuras

Sono trascritti nell’alfabetico X-sampa e se volete la traduzione in IPA, cercate in rete: esistono programmi di traduzione.

Come si è arrivati a questa suddivisione?

Al computer è stato dato il comando “raggruppa ciascun dialetto in una coppia con il dialetto più vicino”. In questo modo si sono formate le coppie di dialetti. E poi “raggruppa ciascuna coppia alla coppia più vicina” e così via fino a formare le macro-coppie “logudorese” e “campidanese”. Qualche dialetto è però così distante dagli altri che forma una “coppia” a se.

Eccola qui la suddivisione del sardo agognata da Cetti, Spano, Wagner e fedeli vari, ma questa volta effettuata tenendo conto di tutti i fenomeni fonetici presenti nei vari dialetti e della loro frequenza. Infatti, per esempio, mentre la riduzione della E a I, nella cartina di Contini, ci da un’unica isoglossa, con il nostro approccio quantitativo, la distanza prodotta dal fenomeno viene misurata ogni volta che si verifica in una delle 200 parole.

Infatti, perfino un Podda può avere ragione, quando dice che non tutte le isoglosse contano allo stesso modo: vero!

E questo produce la percezione di un certo dialetto come appartenente a un’area o all’altra, sulla base di alcuni fenomeni.

Ma questa percezione è influenzata anche dai pregiudizi del percettore, oltre che dalla sua conoscenza dei vari dialetti sardi.

È un dato di fatto che i Sardi, a partire dagli anni Settanta e dall’inizio del movimento linguistico, sono stati bombardati, da parte delle università italiane di Sardegna e dalle banalizzazioni effettuate dai media, con il messaggio “Il sardo è diviso in logudorese e campidanese”.

Va bene: il sardo di Seneghe è “campidanese”?

Fate voi, ma a Seneghe si dice “late” e non “lati”.

Il sardo di Desulo è “logudorese”?

Si dice “ucíu” e non “giutu”, “pracia” e non “piata”.

Insomma, le cose non stanno così. Semplicemente la suddivisione del sardo in due è una grandissima cazzata!

Guardatevi la cartina seguente:

http://www.let.rug.nl/~heeringa/sardegna/norm/mds2.png

A voler dividere il sardo in due, bisognerebbe sterminare gli abitanti di Seneghe e Laconi (pulizia etnica””, come ha suggerito una preside, sarcasticamente).

E poi bisognerebbe definire come “logudorese” tutto quello che, già forzatamente, non si può definire come “campidanese”.

Ma questo è l’unico modo di far sparire il sardo di mesanía.

Ci vuole davvero una grande fantasia (o forse ignoranza, o meglio ancora malafede) per attribuire il sardo di Orune e quello di Aritzo alla stessa varietà.

Ma evidentemente la natura è stata generosa con i linguisti italiani di Sardegna.

Fra poche settimane sarà pubblicato “Le identità linguistiche dei Sardi”.

November 22, 2013

Cronaca di una strage annunciata

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Non voglio assolutamente sminuire le cose belle che stanno succedendo in Sardegna.

La solidarietà concreta che molti Sardi stanno dimostrando ai nostri connazionali colpiti da questa tragedia è commovente.

Ma non credo di far torto a nessuno se dico che questa generosità non basterà a evitare le tragedie prossime.

Se nulla dovesse cambiare, c’è solo da aspettare e prima o poi piangeremo altre morti tanto prevedibili quanto inutili.

E quello che deve cambiare siamo noi e il nostro modo di guardare alla terra in cui viviamo.

Dobbiamo sentirci responsabili del nostro habitat.

Non dobbiamo più permettere che venga trattato come una merce di scambio, la cui unica funzione sia quella di far arricchire gli speculatori: http://sardegnablogger.weebly.com/1/post/2013/11/money-non-importa-se-diluvia-marco-zurru.html

Questa volta l’arricchimento di pochi ha comportato la morte di sedici persone e tante sofferenze per migliaia di altre e tutto questo era prevedibile.

Il ciclone Cleopatra non è un fenomeno anomalo e questo l’hanno ripetuto tutti gli esperti.

Il ricordo di nubifragi e alluvioni paragonabili penso siano nella memoria di tutti e la loro descrizione si trova già in Voyage en Sardaigne di La Marmora.

Questa volta il caso ha voluto che il fenomeno si verificasse in una delle zone in cui più avidamente si sono scatenati gli speculatori del mattone.

Era nelle logica delle cose che prima o poi finisse veramente male.

Era soltanto questione di tempo.

Ma i cannibali del mattone selvaggio non hanno operato da soli.

C’è stato chi gliel’ha permesso: penso che a Olbia tutti sappiano chi sono i politici che hanno permesso di preparare la strage.

Lascio ad altri blogger liberi il compito di denunciare queste complicità, io dall’Olanda non posso informarmi a sufficienza.

Toh, ci hanno pensato altri: http://www.huffingtonpost.it/2013/11/20/sardegna-ciclone-cleopatra-settimo-nizzi_n_4307161.html

Quello che posso dire è che a Olbia questi politici godevano, ovviamente, di consenso e così la loro politica di cementificazione selvaggia.

Chiaro, altrimenti non sarebbero stati eletti.

Essì, miei cari, eletti ed elettori hanno tutti responsabilità, anche se non in modo uguale.

Basti quest’esempio per capire quanto lontano arrivi quest’intreccio di interessi: “La signora che costruì sul fiume: “Risarcitemi”. Olbia, 21 condoni. In Via Lazio, ad Olbia, è venuto giù tutto, la marea d’acqua ha distrutto tutto quello che incontrava al suo passaggio. E’ qui, fra i detriti e le macerie, che si aggirava ieri il sindaco Gianni Giovannelli quando una signora gli ha urlato contro con rabbia: “Adesso chi li paga questi danni?” Giovannelli le ha risposto con calma che proprio lì dove c’era la sua casa esisteva da sempre un alveo del fiume, non era il caso di avanzare richieste. “Certo che avanzo, siete voi che non mi avete impedito di costruire” è stata la replica immediata della signora.”

http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/sardegna-signora-costrui-sul-fiume-olbia-21-condoni-1724271/?fb_action_ids=10200850730492908&fb_action_types=og.recommends&fb_source=other_multiline&action_object_map=%7B%2210200850730492908%22%3A669888183046024%7D&action_type_map=%7B%2210200850730492908%22%3A%22og.recommends%22%7D&action_ref_map=%5B%5D

La strage non è figlia di Cleopatra: questa al massimo avrebbe potuto ammazzare alcuni sfortunati, come sempre.

La strage è figlia della cultura di cui quella donna di Olbia è portatrice, la cultura dell’irresponsabilità verso il proprio habitat, ma anche verso sé stessi.

Questa è la cultura che dobbiamo espellere da noi stessi e dalla nostra terra.

Non sarà facile.

I responsabili dello scempio sta già correndo ai ripari e provvedendo a inquinare le coscienze dei Sardi.

Leggetevi cosa fa scrivere il costruttore Zuncheddu al direttore del suo giornale:”Non ce la sentiamo di prendercela solo con le amministrazioni, perché a volte il mostro burocratico è sordo  e cieco. ” http://anthonymuroni.blog.unionesarda.it/2013/11/21/undici-anni-quattro-giunte-regionali-nessun-piano-delle-fasce-fluviali/

Alé, liberi tutti!

Tutta colpa della burocrazia, a sua volta cieca, sorda e soprattutto senza volto!

Nessuno è responsabile, appunto come pretende la signora di Olbia.

Ma è soprattutto Cappellacci a venirne fuori vergine e martire.

Come se non sapessimo tutti del patto che lo lega a Zuncheddu.

Insomma, siamo alle solite: nos bolent corrudos e cullionados…

Come vedete, i quattrini si fanno prima di tutto spacciando disinformazione, incultura, ignoranza.

Beh, adesso, noi blogger che facciamo controinformazione, la nostra parte la stiamo facendo.

Ma tocca soprattutto ai nostri lettori non accontentarsi di leggere quello che diciamo noi, ma di dare il loro contributo alla lotta contro la cultura dell’irresponsabilità, della giustificazione dell’avidità di pochi, ma ricchi e potenti, ai danni della maggioranza finora divisa e rassegnata.

Adesso abbiamo visto in modo drammatico a cosa ci stanno portando questi cannibali e dobbiamo scegliere da che parte stare.

Con loro o dalla parte del nostro habitat, della nostra terra, di noi stessi?

P.S. Il mio critico, Sig. Marco Pais (vedi i commenti) forse si riferiva a questo articolo:  http://www.unionesarda.it/articolo/cronaca_sardegna/2013/11/22/protezione_civile_il_sito_pensa_ai_roghi_l_allerta_meteo_snobbata_sul_portale-6-341803.html

Chissà!

http://www.sardiniapost.it/pronto-intervento/e-il-governatore-il-responsabile-assoluto-della-protezione-civile-ecco-perche/

November 18, 2013

Questione morale o questione culturale?

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Insomma, meglio tardi che mai, ma è tardi.

Il bubbone è scoppiato.

Mi immagino quanto ne siate stanchi voi, che ci vivete in mezzo, e soprattutto voi di sinistra.

Io ho avuto anche la grande fortuna di essere arrivato al disincanto senza essere passato per il cinismo e quindi oggi ho tutto da guadagnare e nulla da perdere.

Adesso guardo i miei amici di sinistra con un misto di ammirazione per la loro tenacia e di compassione per le continue delusioni, urlate sui social media.

http://www.vitobiolchini.it/2013/11/16/questione-morale-si-avvicina-la-tempesta-ma-il-pd-sardo-fa-finta-di-niente-ecco-le-tre-mosse-per-salvare-il-salvabile/

Ma da dove nasce la questione morale?

Dalla debolezza degli individui?

Leggetevi questo pezzo: https://vittoriopelligra.wordpress.com/2013/11/17/la-vergogna-la-colpa-e-la-societa-incivile/

La questione morale nasce dal non sentirsi società, dal non sentirsi popolo.

Nasce dal sentirsi individui, confrontati esclusivamente con altri individui.

Nasce dal non possedere un’identità che vada oltre la propria persona e sia, in parte, sovrapposta all’identità delle persone attorno a noi.

Come possiamo condividere dei valori morali, se non condividiamo, almeno in parte, una visione del mondo, un sistema di simboli, una lingua che ci definisce come popolo, se non ci sentiamo uniti al nostro prossimo?

Una massa di individui elegge a propri rappresentanti dei politici che fanno innanzitutto i propri interessi individuali.

Perché non dovrebbero?

In nome di quale collettività dovrebbero fare gli interessi collettivi?

Di che stupirsi allora?

Ecco a cosa a portato il “realismo” di quelli che “Abbiamo altro a cui pensare”.

Pranzando ve ne state?

Dove sono i posti di lavoro, lo sviluppo, il benessere materiale prodotti dal “realismo”?

Avevano, effettivamente, altro a cui pensare: il proprio benessere individuale.

Quello materiale: what else?

Ma i loro elettori hanno visto e hanno lasciato fare, perché quello era il patto: il benessere materiale individuale, prima per se stessi e poi, se ne avanza…

La cultura non è un lusso.

La sua cultura è la bussola di una società, quella cosa che ti dice dove andare, tutti assieme.

Lasciamo pure stare il fatto che la cultura ti da quel benessere immateriale indispensabile a una vita soddisfacente.

La cultura è il legante della società.

Una non-società atomizzata, costituita esclusivamente da individui, non può non esprimere politici che pensano solo a se stessi.

Come potrebbe essere diversamente?

L’alternativa è quella di scegliere di essere qualcosa assieme ai nostri vicini: scegliere di essere Sardi–comportandoci da Sardi, ché l’identità te la da quello che fai–e cercare una strada comune che ci porti lontano dall’esistente miserabile, in cui ci hanno ficcato questi miserabili, dediti soltanto alla gestione dell’esistente.

November 16, 2013

Virdis, tu quoque!

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La forza della tradizione e del pensiero convenzionale ha giocato un brutto scherzo a Maurizio Virdis: “È ben chiaro che le isoglosse relative a questi duplici esiti delle due macroaree non coincidono, esse tuttavia tengono comunque un andamento est-ovest che divide le due metà dello spazio in un’area settentrionale e in un’area meridionale. Chiameremo le due macroaree, secondo tradizione e per brevità, Campidanese la meridionale e Logudorese la settentrionale, prescindendo dalla loro coincidenza rispetto alle regioni geografiche da cui prendono nome: il Campidano e il Logudoro.” (http://networkedblogs.com/Rayjc)

È chiaro che se uno vuole dividere il sardo in “campidanese” e “logurorese”, c’è poco al mondo che possa fermarlo.

Tra le tante isoglosse che dividono varietà e subvarietà del sardo, ci sono anche quelle che vanno–grosso modo–da est a ovest.

E se si è deciso a priori che la divisione nord-sud esiste, allora quelle isoglosse diventano rilevanti.

Ma cosa salta fuori se prendiamo in considerazione tutte le isoglosse riscontrate nelle aree rilevanti?

cartina_pag17

 

Da questa cartina riassuntiva della ricerca condotta da Michel Contini risulta una situazione molto diversa da quella descritta da Virdis, prestando un’attenzione selettiva alle isoglosse che servono a confermare il pregiudizio di partenza.

Cui prodest?

Perché si continua a ignorare il lavoro di Contini, che risale al 1987?

Misteri delle università italiane di Sardegna.

November 14, 2013

Su cane est su megius amigu de s’omine

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S’est setzidu acanta mia e deretu nch’at molladu unu de cussos troddios coscia-coscia, pudescios e traitores.

–E manera!–dd’apo nadu–Cunnu de kie t’at mortu, fintzas troddiende ses traitore!

–Non mi nergias gai, ca Carboni s’ofendet! E non dd’apo fatu aposta: so nervosu …

–E ita cosa?

–Toca, non fatzas s’innotzente!

E nd’at molladu un’áteru, ma custu, a su mancu, cun “accompagnamento musicale”.

Mi nde seo pesadu.

–Ascu’–dd’apo nadu–a sa guerra chimica dd’as acabbada? E ita est? In átera manera non bi dda faes? Bae e carva-ti-nche in su cunnu, tue e su fragu de merda ki nde bogas!

–Nono, sa beridade est! So nervosu … comente cudda borta chi apo brusiadu sa fritzione, in cussa ruga de Marina, in Casteddu… tue mi pones su nervosu.

–Ita ratza de fragu cussu puru! Putzi-putzi! Andat bene, ma deo tando mi pongio innoxe, innue non pigat su bentu…

–Andat….trrrrodddiu….bene. Ascurta….

Non dd’aía bidu mai aici umile.

–Ita boles?

–Nudda! A lassare sa LSC in paghe….

–Ma deo contras a sa LSC non tengio nudda! Antzis! Dda bogio migiorare!

–Tue la cheres cambiare…

–Cunnu de kie t’at mortu! E tue non dd’as cambiada? Is cosas ki faes tue non sunt is ki aiamus cuncordadu in sa cummissione!

S’est castiadu a giru.

–Faedda a pagu! Trrrodddiu…  Ma sa gente pensat chi sa LSC e sa LSU siant sa matessi cosa. Prus che a totu in Campidanu…

–Infatis!

–Emmo. ma cussos–naramus–non sunt Sardos beros. Ita contant? Sunt Maureddinos…Sos chi ant atzetadu sa LSC sunt–naramus–sos Sardos beros. E tocat a los acuntentare, a los acunortare de su fatu chi sa LSC non est Logudoresu a su 100%. Tue mi cumprendes…

Mi dd’apo castiadu…

Trrrodddiu…

–Semus meda!

–Cantos?

–Meda! Nos semus contende, sos “Amigos de sa LSC” e semus meda!

–Cantos? E cantos sunt is ki non mandigant dae sa manu tua o de Corongiu?

–TUE SES UNU ….trrroddddiu… NIMIGU DE SA LIMBA! TUE IN SARDIGNA NON BI MANDIGAS PRUS!…trrrodddiu…MAI PRUS! CUN A TIE NON FAGHET A RESONARE! SES GELOSU DE A MIE, PROITE CA SEO DEO CHI APO UNIFICADU SA LIMBA SARDA E DEO…trrrroddddiu…DETZIDO SU EST GIUSTU E SU CHI NO EST GIUSTU …trrrrrrodddddiu.

–E tando, ita ti nde faes de me? E ita ti nde faes de totus is ki non sunt de acordiu cun te? Bastat a nos custringher a imperare sa LSU!

Trrrroddddiu…

–Semus meda…

Mi nde seo andadu.

Passu-passu nche seo caladu dae su Bonu Caminu a Stampaxe.

Casteddu est bella.

November 10, 2013

Ultimo venne il corvo

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“Ciò troppo spesso è accaduto in modi inadatti, paventando letali influenze e ibridazioni, imponendo unificazioni, trascurando il dato capitale che l’italiano in Sardegna è già un italiano sardo inconfondibile per pronuncia, lessico, sintassi e stile oggi anche letterario, che unifica linguisticamente tutti i sardi per la prima volta nell’ultimo millennio, rendendo meno urgente e non indispensabile l’ufficializzazione di una qualche forma di sardo.”

http://lanuovasardegna.gelocal.it/regione/2013/11/10/news/lingua-sarda-salviamola-dai-cattivi-maestri-1.8087858

Un tempo i corvi e gli avvoltoi volavano alto e aspettavano di vedere la carogna giacere, prima di avventarvisi contro: “Conosceva gli avvoltoi, quando venivano a calarsi sulle carogne. Avidi come sono sempre, si lanciavano su quella carne puzzolente, beccandosi a vicenda, l’uno più impaziente dell’altro, l’uno più ingordo dell’altro.” (Il covo, di Nanni falconi)

Oggi neanche i corvi e gli avvoltoi sono più quelli di una volta. Dopo la decadenza di Berlusconi, siamo confrontati  anche con la decadenza dei penultimi della catena alimentare: quelli che vengono appena un po’ prima delle muffe e dei batteri .

Non aspettano più che la loro preda (preda?) sia morta, ma gli basta che si gratti un po’, o che molli una scorreggia, per avventarsi.

Sono davvero alla fame e in pericolo di estinzione.

Prima il Grande Timoniere di Sendero Ziminoso, adesso Giulio Agnelli.

Agnelli riduce tutta la questione linguistica in Sardegna a questa frase: “l’italiano in Sardegna è già un italiano sardo inconfondibile per pronuncia, lessico, sintassi e stile oggi anche letterario, che unifica linguisticamente tutti i sardi per la prima volta nell’ultimo millennio.”

L’italiano di Sardegna è talmente inconfondibile che, appunto, gli insegnanti della scuola italiana di Sardegna non lo confondono affatto con l’italiano–solo i linguisti e gli antropologi italiani di Sardegna lo fanno–e ne bocciano i parlanti e, soprattutto, gli scriventi.

Non sarà questa l’unica causa, ma come mai in Sardegna si registra il record di dispersioni scolastiche?

Agnelli non se lo chiede.

Qualsiasi argomento è buono per combattere l’ufficializzazione del sardo, il suo unico obiettivo.

Eppure è chiaro che l’ufficializzazione del sardo ne accrescerebbe il prestigio, cosa questa indispensabile per frenare l’espansione dell’italiano scalcagnato di Sardegna ai danni delle lingue sarde.

Agnelli soffre di ecofobia, odia la sua sardità, come   ha ammesso per se stesso e il suo essere nero: http://www.theguardian.com/commentisfree/2013/nov/09/i-hate-being-a-black-man: “I can honestly say I hate being a black male. Although black people like to wax poetic about loving their label I hate “being black”. I just don’t fit into a neat category of the stereotypical views people have of black men. In popular culture black men are recognized in three areas: sports, crime, and entertainment. I hate rap music, I hate most sports, and I like listening to rock music such as PJ Harvey, Morrissey, and Tracy Chapman. I have nothing in common with the archetypes about the black male”.

Sostituite la parola inglese “black” con “sardu” e arrivate ad Agnelli.

Ma Agnelli non è così onesto.

Lasciamo pure stare il fatto che non tutto quello che dice il divo Giulio è sbagliato: anche un orologio fermo ha ragione due volte al giorno.

A differenza di un nero, un sardo può pretendere di non essere sardo.

Basta non parlare in sardo.

Se parla in italiano, può pretendere di essere italiano.

Rimane un problema: che male c’è a essere sardo?

E l’altro problema: parlare in italiano di Sardegna ti rende un italiano di serie C, come dimostrano i risultati scolastici dei ragazzi sardi.

Ecco, il dilemma dei Sardi oggi è tutto qui: essere Sardi di serie A o italiani di serie C?

La lingua ufficiale e standardizzata nello scritto serve a essere Sardi di serie A.

Agnelli vi vuole Italiani di serie C.

A voi la scelta.

November 5, 2013

Tempos de corbos e de inturgios

196Quelli della commissione lingua e cultura dell’università di Sassari avevano ragione e avevano visto bene. Il tempo è sempre galantuomo. Sono tanti quelli che finalmente si stanno accorgendo del disastro compiuto da chi ha governato in questi anni le questioni linguistiche. Qualcuno dovrà rendere conto di tutto ciò. Milioni di euro spesi inutilmente.