Non avrei voluto dare altra attenzione a quel mucchio di fesserie pubblicato dalla Nuova Sardegna e addirittura dall’ANSA, visto che il loro intento è chiaramente quello di ridicolizzare chi si occupa di sardo.
Purtroppo però diversi dei miei contatti sono cascati nel tranello e adesso mi rimproverano di comportarmi da barone e di non prendere sul serio la possibilità che questo ennesimo linguista-fai-da -te possa avere ragione: Orni Corda per tutti.
Per loro–e solo per loro–voglio allora spiegare perché far derivare “FILIUS” da “FILZU” è una pillonata grande come il monte di Marganai, talmente grande che prenderla anche solo un po’ sul serio ti squalifica.
Presento allora i vari passaggi fonetici che hanno portato dal latino FILIUS al sardo sett. FIZU.
Uso l’alfabeto fonetico X-SAMPA e con questo link (http://aveneca.com/xipa.html
) potete tradurlo in IPA.
La prima cosa da osservare è che la forma FILZU proposta dal nostro intrepido linguista instancabile non è attestata né in sardo né altrove.
Semplicemente non esiste e questo dovrebbe essere già sufficiente a chiudere questa discussione surreale.
Il passaggio opposto è invece lineare e attestato in tutte le sue fasi.
centro-sett. > fidZu > fidzu
filius > filjus > fiLu >
mer. > fil:u
Come venisse pronunciata la parola FILIUS nella fase preclassica del latino non lo so, ma si sa che la lettera I, davanti a una vocale, nel latino classico si pronunciava come la semivocale [j]: filjus quindi.
Come ho abbondantemente argomentato nella mia dissertazione (The Phonology of Campidanian Sardinian: compratevela dalla Condaghes), una sonorante (che tale è la [j]) in quella situazione non riceve una posizione sillabica e diventa “instabile”: tende a sparire, come si vede in decine di lingue in tutto il mondo.
Un modo attestato di eliminare la vocale palatale [j] è quello di farla fondere con la consonante precedente: [lj] > [L].
[L] rappresenta il suono presente nell’italiano FIGLIO.
La forma [fiL:u] è attestata, per esempio a Seui, sul Gennargentu, lontano dagli influssi magici del pisano medievale.
Il suono che ne deriva è [L:], la liquida palatale geminata e questo suono è assente nella gran parte dei dialetti meridionale, nei quali, per esempio, il prestito BOTTIGLIA si pronuncia [butil:ja].
Nei dialetti meridionali del sardo, quindi, la forma [fiL:u] è passata a [fil:u], con la liquida alveolare al posto della palatale.
Si noti che il processo inverso [coronale > palatale] diventa impossibile senza suoni palatali adiacenti.
Nei dialetti di Mesania, il suono [L] si è desonorizzato (è diventato una consonante vera e propria), conservando però il punto di articolazione palatale: [dZ], ragion per cui in LSC la parola si scrive FIGIU.
Nuovamente, si noti che il passaggio inverso ([dZ] > [L:]) è impossibile: l’ostruente [dZ] costituisce un’incipit sillabico preferito a quello costituito dalla sonorante [L].
Nei dialetti più settentrionali rispetto alla Mesania, anche [dZ] si è depalatalizzato ed è passato all’affricata alveolare [dz].
In questi dialetti, anche prestiti come GENTE e PARIGI mostrano l’affricata alveolare al posto della palatale: [dzente], [paridzi].
E ancora una volta, si tratta di un processo irreversibile: la palatalizzazione si verifica soltanto in concomitanza con la coarticolazione di una palatale. Se manca questa è semplicemente impossibile.
Fonetica articolatoria elementare.
Se poi aggiungiamo che la forma FILZU non esiste da nessuna parte, vediamo che affermare che da questo niente sia derivata la forma latina FILIUS, attraverso una serie di passaggi impossibili foneticamente, è semplicemente ridicolo.
E adesso che ve l’ho spiegato, cari i miei critici, abbiate l’umiltà di ammettere che un linguista è un linguista, mentre un cagallone rimane un cagallone.