Ho appena letto uno dei pezzi di Joep van het Hek.
Edith mi ha regalato l’ultima raccolta dei suoi commenti satirici (satirici?) sull’NRC (il Corriere olandese).
Finalmente ho capito perché non sarò mai bravo come lui: Joep è spietato.
Non è questione di coraggio: Joep la pietà non la conosce proprio.
Io non ce la faccio.
La battuta, ferocissima e perfettamente adatta, mi gira in testa da ieri, ma io non ce la faccio.
Ne ho anche parlato con amici e famigliari.
Anche loro dicono di non usarla.
Siamo dei pappamolla.
Mentre la satira non deve fermarsi davanti a nessun potente.
Rimarrò un dilettante.
Perché a Firino la storia dei sardi da fastidio al punto da abolire l’unica festa che ricorda che perfino i sardi sono capaci di avere dignità?
Ovviamente non lo so.
Dovrei potermi introdurre nei suoi pensieri.
Ma posso provare a indovinare, a partire dal suo cognome, con quella O ridicola alla fine.
Il suo cognome in origine era ovviamente Firinu, ma qualche suo antenato ha pensato che quella U finale fosse sconveniente e l’ha trasformata in una tonda O italiana.
L’hanno fatto in tanti: indossare la O come foglia di fico per coprirsi le vergogne sarde.
La O italiana come le mutande.
Sa Die de sa Sardinnia è stata istituita proprio per ricordare a tutti che la violenza che i sardi hanno subito dai proto-italiani, fino a portarli a vergognarsi del proprio cognome sardo, non è stata soltanto violenza psicologica.
Claudia Firino, con la sua O tonda-tonda, ha abolito l’unica festa della dignità sarda, come il suo antenato ha abolito la U dal suo cognome e da quello dei suoi discendenti, con tutte le conseguenze del caso.
La storia–ma solo la storia conosciuta e condivisa–crea identità e l’identità è la colla di una nazione, ricordiamolo, tecnologia sociale impiegata per giustificare il controllo di un certo territorio da parte di una certa comunità di umani.
Distruggere l’identità sarda è lo scopo primo della borghesia sardignola: “Dedicare Sa Die a qualsiasi cosa è una buffonata, non Sa Die in sé. Che rimane una delle poche ricorrenze storiche con un senso (o sarebbe meglio dire l’unica), in Sardegna. Solo la diffusa e profonda ignoranza storica, sommata al nostro autorazzismo da colonizzati (o callonizzati, per citare, più o meno, tziu Bolognesi), può negarlo.
D’altronde, che la Rivoluzione e il suo ricordo siano ancora attuali lo dimostra proprio il fastidio e la reticenza con cui li tratta la nostra classe dominante (compresa la sua porzione accademica). Il problema è sottrarsi alla selezione innaturale imposta alla classe dirigente sarda proprio dopo la fine della Rivoluzione. La regola vuole che si debba per forza essere organici a certi meccanismi, se non proprio a una delle varie fazioni che si contendono la scena, legittimate dai padroni oltremarini. Sennò non sei nessuno e non puoi fare niente. Il conformismo ad un certo punto diventa istintivo: sai cosa fare e cosa dire per tenerti aperte certe possibilità anche senza che nessuno ti dica niente. Sai quanto costi non accettare certi meccanismi di selezione.” (Omar Onnis, ieri su FB)
Mi guardo bene dall’attribuire chissà quale lucidità (perversa) all’assessore Firino: come dice Onnis, basta l’istinto per certe cose.
L’istinto che insorge, per esempio, in una famiglia in cui si decide di italianizzare il proprio cognome. Pensateci: cosa ti da più identità del tuo nome?
E poi quella decisione traumatica che continua a influenzare, strisciante, il modo in cui i discendenti vedono se stessi: “Prima ci chiamavamo Firinu e non avevamo le mutande.”.
Se i sardi fossero nazione, pretenderebbero di controllare il proprio territorio.
Ve lo immaginate che fine farebbero, per esempio, i poligono militari italiani?
Ecco perché i sardi non devono mai diventare nazione ed ecco perché bisogna cancellare perfino il ricordo di quel giorno di dignità del 1794.
Non c’è nemmeno bisogno che qualcuno l’abbia suggerito all’assessore.
Lo spettro di Francesco Cillocco si aggira ancora nell’inconscio collettivo dei sardi, ricordandogli quale sia la punizione per chi osa ribellarsi ai padroni di oltremare.
Ribellarsi?
Anzi, meglio anticipare i loro desideri.
“Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro”: esattamente quello che sono diventati i sardi.