Due identità sarde o dialogo tra sordi? (dedicato ai fascisti sedicenti di sinistra)


Uno degli interventi più interessanti all’ultima Conferenza sulla Limba di Macomer, nel lontano 2008, è stato quello di Gabriele Iannaccaro.

Fra le altre cose Iannaccaro ha detto che lo scontro in atto sulla lingua è in effetti lo scontro tra due diverse concezioni dell’identità sarda.

Secondo la fazione che, semplificando, si può definire come contraria alla limba—o almeno a un uso ufficiale della limba e al superamento della situazione attuale di diglossia—è il territorio della Sardegna a definire l’identità dei suoi abitanti e la limba, ma sí, si può usare per raccontare barzellette e per parlare con i nonni, ma per il resto va evitata, perché per comunicare seriamente è meglio usare l’italiano.

L’altra fazione—la nostra insomma—vuole che il sardo diventi—o torni ad essere—una lingua normale in cui si può fare qualunque cosa, perché l’identità sarda coincide con la cultura sarda—qualunque cosa “cultura sarda” significhi—e questa si esprime al meglio attraverso la limba.

Fermo restando che anche la nostra posizione, così definita, si può criticare o comunque porre in discussione—Qual’è il rapporto tra lingua e cultura? E tra lingua e identità? Chi ha qualcosa di definitivo da dire su queste cose?—la differenza tra le due concezioni dell’identità consiste nel fatto che la prima è una concezione statica: “Sei sardo se sei nato in Sardegna e molto più da dire o da fare non c’è!”; mentre l’altra è una posizione dinamica: “Sei sardo se ti comporti da sardo: soprattutto se parli il sardo!”

Lasciando stare il fatto scontato che la nostra posizione è superiore—per noi, è chiaro!—altrimenti ne avremmo un’altra, la nostra è delle due anche la posizione più intollerante, almeno in linea di principio.

Mi spiego: noi di fatto con la nostra posizione affermiamo che chi non parla sardo non è sardo o, almeno, lo è meno di noi!

E qui non si tratta di mettersi a cercare argomenti per dimostrare che effettivamente gli altri non sono molto sardi. Il punto non è quello.

Il punto è che la nostra posizione fa paura. E giustamente.

Mi spiego: anche tralasciando il fatto che tutti i sardi sono traumatizzati dall’italianizzazione linguistica della Sardegna (e del resto dello stato) e che molti automaticamente associano perciò l’ufficializzazione del sardo al fascismo linguistico storicamente impiegato dagli italiani (che però questi molti evitano sistematicamente di denunciare), rimane il fatto che la nostra concezione dell’identità sarda comporta una gerarchia di valori.

Per il fatto di parlare il sardo noi saremmo—anzi lo siamo!—dei sardi migliori di quelli che non lo parlano.

E non importa che questo non lo abbiamo detto—e forse neppure pensato—esplicitamente: questa è la logica consequenza della nostra posizione sull’identità.

Ecco perché la nostra posizione fa paura.

E allora dobbiamo chiederci se quello che vogliamo è far paura a chi non è d’accordo con la nostra posizione.

No, non sto parlando di quello che più o meno politicamente opportuno. Non sto dicendo, insomma, che bisogna tatticamente tranquillizzare i nostri avversari politici perché ammorbidiscano la loro opposizione.

Mi sto chiedendo a voce alta se voglio che la mia posizione sulla limba contenga un nucleo di intolleranza intrinseca.

La mia risposta è ovviamente: no!

Non vorrei vedere una Sardegna che sia l’immagine rovesciata della Sardegna attuale con dei Sardi di serie A (domani i sardoparlanti, oggi gli italofoni) e di serie B (domani gli italofoni, oggi i sardoparlanti), perché non credo che in una Sardegna del genere si vivrebbe meglio che nella Sardegna attuale.

Quello che in questi anni non abbiamo messo sufficientemente in chiaro è che noi vogliamo soltanto vivere gioiosamente la nostra sardità, che tutto quello che vogliamo è essere sardi quanto, dove e come lo vogliamo, che la nostra è una ricerca interamente positiva di quello che è meglio per noi e per il nostro prossimo: essere liberamente quello che siamo!

Essere culturalmente autonomi è esattamente il contrario della negazione dell’autonomia altrui.

Con questo, però, non voglio negare che in molti casi la paura vera dei nostri avversari sia quella di perdere la propria posizione di rendita come mediatori tra il centro dell’impero italiano e la sua periferia estrema: noi.

E anche se la maggior parte dei Sardi è a favore dell’uso ufficiale del sardo e della sua introduzione nella scuola, la maggior parte della sua classe dirigente—e gli intellettuali in particolare—sono invece contrari.

Se ci pensate, non è per niente un caso che proprio i Sardi con un’istruzione superiore siano maggiormente impauriti dall’idea di una Sardegna culturalmente autonoma.

Guardate la cartina seguente, presa da Google Earth, e che rappresenta l’Italia “secondo l’Atlante De Agostini”.

Secondo questa cartina, la Sardegna, senza l’Italia, sarebbe un’isola sperduta in mezzo al Mediterraneo, lontana da tutto e da tutti: perfino l’Albania è meno remota.

Senza questa rappresentazione della Sardegna nel mondo, non si capisce la paura di molti Sardi di identificarsi con la cultura e la lingua della propria terra.

La cartina seguente rappresenta la Sardegna come la percepiscono i ceti istruiti dell’isola, quando la immaginano culturalmente autonoma dall’Italia: una terra naufragata in mezzo al mare, di cui sanno quel poco o nulla che la scuola italiana ha loro insegnato. Il loro, in fondo, è solo un “horror vacui”.

E maggiore è stata la loro esposizione alla scuola italiana, più forte è questa immagine.

Quello di cui non si rendono conto costoro è il fatto che questa percezione della Sardegna è il frutto di una prospettiva molto particolare: quella in base alla quale Roma sarebbe il centro del mondo. “ Roma caput mundi”, no?

E questa, naturalmente, è la prospettiva di chi si è acculturato nel sistema scolastico italiano.

La cultura italiana è autocentrata—e, detto fra noi, estremamente provinciale—e misura il mondo in base alle proprie norme. Ecco perché la Sardegna risulta periferica in questa cartina. Non esiste altro motivo, ma naturalmente la scuola che i ceti istruiti della Sardegna hanno frequentato non svela, ne saprebbe svelare, il perché.

La cartina seguente, invece, ci mostra da un lato che la Terra è tonda—e che quindi qualunque punto può esserne il centro—e che la Sardegna-ombelico-del-mondo si trova esattamente al centro del Mediterraneo occidentale, circondata per ¾ da paesi dell’Unione Europea con cui esiste “libertà di circolazione delle merci e delle persone”.

Barcellona e Marsiglia sono più vicine alla Sardegna che non Milano o, rispettivamente, Genova, ma i ceti istruiti della Sardegna non se ne rendono conto.

Secoli di rapporti politici, culturali ed economici con la penisola iberica e anche con la Francia sono scomparsi nel nulla, inghiottiti dalla scuola italiana.

La prospettiva di Roma, imposta dalla scuola, ha cancellato la realtà geografica e anche quella storica.

Ma noi cosa abbiamo fatto per spiegare a questa gente che l’autonomia culturale della Sardegna significa non isolamento, ma esattamente il suo contrario?

Poco.

Non abbiamo mai spiegato abbastanza che non si tratta di recidere alcun legame, ma di darci la libertà di averne altri. Di arricchirci e non di impoverirci.

Tornando all’analisi di Iannaccaro, possiamo dire che le due fazioni che si contrappongono sulla questione della limba rappresentano in fondo due modi diversi di concepire il nostro territorio.

La prima vede la Sardegna come periferia dell´Italia, pittoresca ed esotica, cioè folkoristica e quindi intrinsicamente arretrata ed inferiore, con i sardi in perenne rincorsa delle norme linguistiche e comportamentali forgiate oltre il Tirreno: si vedano diversi forum “linguistici” del Gruppo “Fillu de chini ses” su Facebook..

La seconda vede la Sardegna semplicemente come centro del mondo per i Sardi: centro di un mondo molto più vasto, è chiaro!

La prima è la visione pre-informatica (pre-Google Earth!), centralista, statalista, vetero-progressista, cioè regressista, che concepisce la conquista della propria autonomia come negazione dell´autonomia altrui: si vedano i vari interventi anti-limba apparsi in questi ultimi anni. Erano tutti centrati sulla paura, reale o immaginaria, di volontà prevaricatorie da parte dei sostenitori della limba.

L´altra posizione è la nostra e abbiamo ancora molto lavoro da fare per chiarirla.

Fermo restando che non convinceremo mai la gente in malafede, dobbiamo fare ancora molto per far capire ai ceti istruiti della Sardegna che noi semplicemente rappresentiamo la libertà di scegliere la propria identità, anche per coloro che il sardo non lo vogliono parlare.

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