De “il riscatto dell’Italiano in Europa e del sardo in Sardegna e la quistione della lingua franca e dell’affrancamento”. de Marcu Pitzalis

 

 

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Sunt cunsideros de importu, custos de Marcu Pitzalis a subra de su raportu intro de Limba e podere.

Unas cosa sceti non mi andat bene, ma forsis seo deo ki cumprendo male.

Mi paret ki s’arrexonu de Pitzalis siat ancora a intro de una logica de monolinguismu, sa logica de is Italianos.

Si nde bessis de cussa logica e intras in sa de su multilinguismu, bies ki non b’at bisongiu de conflitos intro de inglesu, italianu e sardu: limbas diferentes pro faxer cosas diferentes.

Deo custu ddu bido bene innoxe in Olanda, inue casi totus faeddant s’inglesu, ma sceti pro trabballare o cun is strangios.

Sunt is Italianos ki s’intendent minetados in su monolinguismu istericu issoro e est cussa ideología, leada dae sa burghesía sarda, ki est ochende su sardu, non sa connoschentzia de s’italianu in se.

E atzungio puru ki depimus esser cuntentos ca como s’inglesu at mostradu ki s’italianu puru serbit a pagu in sa bida e in su mundu globalizadu.

Su chi nosi serbit est una lingua pro trabballare (s’inglesu) e una lingua pro s’identidade (su sardu).

S’italianu regionale de Sardinnia nosi serbit sceti a nde leare su record de sa dispersione scolastica prus arta de su stadu italianu.

 

Considerazioni sull’uso dell’italiano nelle istituzioni europee.

http://www.unita.it/mondo/ue-ora-bandi-anche-in-italiano-br-italia-vince-ricorso-su-uso-delle-lingue-1.520845

 

 

Michelangelo Pira affermò – nelle pagine di “La rivolta dell’oggetto” – che l’Italiano ha svolto e svolge una funzione di lingua franca in Sardegna. Questa osservazione è stata strumentalizzata da chi voleva “affrancarsi” dal sardo, cioè abbandonarlo tout court.  Forse in parte è vero, ma come negare che dietro questa funzione si occultavano rapporti di dominio. Mutatis mutandis, come si fa a non capire che l’inglese come lingua franca non è una lingua “libera” ma è l’espressione di un’egemonia geo-politica, culturale ed economica: l’egemonia dell’inglese in qualche modo è uno dei frutti dell’esito della II guerra mondiale. Questa egemonia non è affatto neutra e quindi esprime ed è espressione di rapporti di dominio. E’ però interessante osservare che tra coloro che contestano il dominio dell’italiano in Sardegna si trovi facilmente gente che avalli ingenuamente il dominio della lingua inglese nell’universo della cultura e in quello dell’amministrazione. In realtà, è sociologicamente interessante osservare come l’inglese sia oggi – nei paesi dominati – un segno di “distinzione” per i rampolli ( freschi o stagionati) delle borghesie locali e nazionali. Un’auto-socio-analisi può essere utile per capire qual è il nostro rapporto con la lingua, a partire dal rapporto tra posizione sociale e prese di posizione. E’ un esercizio non nuovo per i sociologi. Oggi l’inglese viene rivendicato dalla borghesia italiana (e sarda) come segno di legittimità a ricoprire posizioni dominanti nello stato e nelle istituzioni culturali (e questo avviene oggi che il diploma e l’uso dell’italiano si è universalizzato). In questo modo si ricacciano indietro quelli che linguisticamente si sono “affrancati”, grazie all’italiano. Una nuova barriera linguistica si frappone tra chi possiede la lingua e chi ne è escluso. Qualche esempio: Marino durante la campagna elettorale chiese ai competitori di fare un dibattito in lingua inglese; Soru chiedeva agli aspiranti candidati il curricolo in formato europeo e in inglese. Tutto questo lo trovo patetico da una parte, ma indicativo di un’evoluzione dei rapporti di dominio e dei meccanismi di riproduzione sociale.

Compito del sociologo è quello di mettere in luce questo secondo aspetto. Chi si avvantaggia? Che uso ne fa?  Nell’accademia viene rivendicato e utilizzato come strumento di selezione concorsuale e di legittimazione scientifica. L’anglofonia ha preso definitivamente il sopravvento sulla francofonia, ma questo non è senza conseguenze geo-culturali e geo-politiche.

L’Inglese come lingua franca non è una lingua “neutra”, così come non lo è stato l’italiano.

E’ interessante osservare che l’abbandono del sardo è stato vissuto dalla piccola borghesia urbana e rurale nel corso del XX secolo è stato vissuto come strategia di “affrancamento”. Affrancarsi da una condizione di minorità sociale, sganciarsi dalle classi popolari sardofone. Liberarsi da una condizione di subordinazione sociale. E’ evidente però che il prezzo di questo affrancamento è stato quello di accettare le condizioni storiche del dominio linguistico (e politico-economico) come oggettive (e naturali!)

 

E’ ovvio che per stare nella comunità scientifica devo scrivere e parlare in Inglese. Cioè devo accettare le condizioni di dominio oggettivo. E questo vale anche per l’italiano (che però è per me lingua madre, e quindi non la voglio né posso estirpare dal mio cervello). Però non condivido l’entusiasmo dei dei neo-anglo-alfabetizzati nell’affossare l’italiano come lingua internazionale, della cultura e anche della scienza. Questa infatti è la stessa postura dominata e provinciale di quegli intellettuali sardi che hanno consentito l’agonia del sardo nei confronti dell’italiano.

Dunque gioisco di questa rivincita dell’Italiano in Europa. Al pari, gioisco della “mise en question” dell’egemonia dell’Italiano in Sardegna. Questo non vuol dire che l’Inglese è il mio nemico. Occorre però avere coscienza dei rapporti di dominio quando li si subisce. Gli schiavi entusiasti sono doppiamente schiavi.

8 Responses to “De “il riscatto dell’Italiano in Europa e del sardo in Sardegna e la quistione della lingua franca e dell’affrancamento”. de Marcu Pitzalis”

  1. Esiste un altro elemento importante per considerare il dominio dell’inglese (su questo punto simile al francese) e quello dell’italiano in Sardegna. Si tratta del rifiuto e spesso del rigetto della lingua dominata e “minorizzata” da parte di chi passa al codice dominante. Si tratta di un moltiplicatore che conduce al sommarsi di esclusione ad esclusione, e anche a legittimare il dominio di una lingua sull’altra come naturale, e di ogni politica di tutela come pericolosa. Pericolosa per chi, verrebbe da dire.
    Io credo, contrariamente a Pitzalis, che si riferisce a uno schema sociologico che non condivido, da campo-base, in cui tutto è riferibile al posizionamento e nulla agli esiti dei processi e alle contingenze, che per noi Sardi il plurilinguismo sia non solo utile ma opportuno. L’inglese, infatti, intacca il monolinguismo isterico italiano che è ancora la gabbia culturale delle élite intellettuali sardi, in quanto le isola dal mondo. Per me non conta né inglese, né italiano, né sardo in sé, ma per quello che valgono, e soprattutto per quello che ci impediscono.

  2. E’ un ragionamento che fila e che purtroppo sarà difficile contrastare. D’altronde la stessa romanizzazione da cui deriva il sardo moderno è l’effetto della posizione dominante del latino che ha portato all’estinzione delle lingue prelatine.
    Il sempre più prossimo bilinguismo italiano-inglese rischia veramente di dare il colpo di grazia al sardo.
    Per questo sono necessari interventi importanti soprattutto per l’insegnamento della o delle lingue della Sardegna.
    Mi sembra di averlo già scritto una volta ma voglio ripeterlo: mio nipotino, ora ha sette anni, sin dal nido ha frequentato l’asilo inglese dove le maestre erano inglesi e parlavano solo inglese. Ora, alle elementari, le lezioni saranno, secondo le materie, in italiano, inglese e francese. Già da due anni viene un’insegnante cinese che gli insegna canzoncine in cinese. A casa, dai nonni selargini, impara il sardo perché i nonni gli parlano anche in sardo, senza senso di inferiorità, cosa che fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile (la mamma e il babbo infatti il sardo non lo parlano).
    I bambini sono spugne e il plurilinguismo non è un miraggio, si può fare! Costa un po’, ma si può fare.
    E il monolinguismo isterico italiano sta facendo il canto del cigno, l’aria sta cambiando, lentamente.

  3. Il sempre più prossimo bilinguismo italiano-inglese rischia veramente di dare il colpo di grazia al sardo? utopia…
    i sardi (quelli che vivono qui in Sardegna e non a Londra o altro) così come gli italiani parlano un inglese pessimo e un italiano aggiustato. tra 40 colleghi docenti, una parla tedesco meglio del sardo ( e non è tedesca!), due parlano spagnolo e inglese. ognuno di questi non parla altre lingue straniere e il loro italiano è quasi come quello dei miei genitori di novant’anni. insomma lasciamo perdere…

  4. A Mongile. Cuncordo cun tegus, francu in custu: su curre curre a su bilinguismu ingresu-italianu (e feti a cuddu, ca su sardu-italianu o frantzesu-italianu no l’importat a nemos) est s’ùrtima fattia, peleada in su campu de sa limba, de sa gherra de classe. Sas classes benestantes e sa burghesia pitticca, mescamente sas famìglias chi istant in Casteddu, finas faghende sacrifìtzios mannos, a fìgios suos lis cherent pònner in manu s’arma letale in sa lutta de su mercadu de traballu e de sa distintzione sotziale. Finas a oje bastabant sos cursos de ditzione, como bi cheret su bilinguismu (o menzus, sa chimera de bi poder lòmpere)

    Cherzo fàchere duos cussideros:

    1) a su chi nd’isco deo de psicolinguìstica, pro chi unu pitzinnu crompet a unu bilinguismu pessonale echilibradu, li serbit no mancu de su 30/40 pro chentu de tottus sas interatziones linguìsticas suas in sa L2, in sos primos ses annos de bida. A pustis li abbisòngiat s’iscola pro tènnere unu bilinguismu sotziale sincheru. Chi custu si potzat abberare in s’iscola primàrgia (privada) ingresa de Casteddu e a pustis in s’affùrriu iscolàsticu e sotziale tzitadinu, francu pro una minoria esìgua a beru, istento a bi lu crèdere.
    A dolu mannu innoghe puru faghent leva in su timore de sos babbos a no fàghere su menzus pro sos fìgios, a no los pessare bene e de custa timoria nde faghent unu marketing.
    Ma supongiamos puru chi custos giòvanos, pacos o medas, crompent a èssere bilìngues: cale ligàmene ant a tènnere cun sa tzitade, cun sa gente de sa pàtria issoro?

    2) de innoghe su de duos cussideros: sa pelea pro su plurilinguismu (su a sa sèria, in ube su sardu est limba e no dialettu) est mattanosa meda, ca a sos babbos e a sas mammas bisòngiat a los cumbìnchere (e finas a los asseliare) a no addestrare a sos fìgios comente chi esserent caddos, mandàndelos a cursos de ingresu, computer, pianoforte etc, ma prusaprestu a lis dare unu cuntzettu umanìsticu de sa bida, chi sos balores primàrgios sient sos de s’istare bene cun sei e cun sos àtteros, e no su de fagher dinare e cunsumare.
    A parte de cussu, soe cumbìnchidu chi unu cuntzettu olìsticu gai in su trettu longu siet binchidore peri in su mercau de su traballu postcapitalìsticu.

    Tando, su chi ti cherzo narrer: s’ispainamentu de s’inglesu (o de su bilinguismu a pacamentu) no at a isdogare monolinguismu istèricu perunu: est sa matessi ideologia de innantis

    In bonora a tottus!

  5. Intuisco un delicato riferimento al mio nipotino nelle parole di Davide. Intanto lui parla solo inglese con gli amichetti, farà la scuola media inglese e continuerà a sentire il sardo dai nonni, se saranno ancora in vita. Certo, non basta una semplice esposizione nonnesca per il sardo, è necessario il suo definitivo e obbligatorio inserimento nel curriculum scolastico.
    Quello che volevo raccontare nel precedente intervento non erano le vicende della mia borghesissima e benestante famiglia cagliaritana, ma il fatto che i bambini possono essere plurilingue e che la cosa non è così difficile come si crede.
    Certo, per noi che siamo nati e cresciuti nel monolinguismo italiano la cosa ci appare “lunare”, nè le cose si possono rivoluzionare dall’oggi al domani soprattutto nei piccoli paesi dell’interno.
    Ho solo detto che è possibile, costoso, ma possibile, padroneggiare italiano, inglese e sardo senza essere dei geni della linguistica. Certo, bisogna ripensare la scuola italiana e sarda in particolare, ridurre materie poco utili allo studente tipo letteratura italiana (ma chi se ne frega di Ariosto, Manzoni, Carducci ecc) o anche letteratura inglese (non ho un debole per la poesia mi spiace) e utilizzare le ore in più per materie scientifiche, ben più utili, insegnate in lingue diverse.
    In quanto al concetto umanistico della vita, prova a raccontarlo ai tuoi nonni quanto era bella la vita senza consumismo, senza lavatrice e scaldabagno, senza acqua corrente, senza televisore, telefono, SENZA NUTELLA!!!!!
    La vita se la sceglie ciscuno di noi: chi vuol fare l’eremita sulla colonna e chi vuole comprarsi la Ferrari e avere la “bavca” pavcheggiata Porto Cervo. Si chiama libertà.

    • Màuru, no soe sèmpere pessande a tie!

      Est chi tèngio duas nettas, de duos e de tres annos, chi ant a incumintzare sa matessi iscola de nebode tuo, e chene babbos e ajajos chi lis alleghent in sardu. S’ammorada mea est istràngia e duncas su tema de su plurilinguismu pro mene est finas una chistione pessonale.
      Duncas tottu su chi contas no mi paret lunare, ma antzis fitianu fitianu: su plurilinguismu in Sardigna est sèmpere cun sas àtteras limbas, sas “limbas ùtiles”.

      Utiles a chie? Utiles a fagher itte?

      Pro su chi pertocat su cuntzettu umanìsticu de sa bida, dae annos isto intre de duas natziones (una chi nde est puru appenas essida dae sa gherra) in ube sa gente normale balàngiat 300-400 euros mensiles (chie tenet unu traballu) e, mancari custu, ti l’assecuro, sos oriolos e sos machines chi mi toccat a bìdere in Itàlia e sas chessas chi su dinare no bastat pro si che comporare sa màchina noba, mancari sa betza funtzionet bene, innoghe no los appo intesos.

      No cherzo narrer chi pòbiru est bellu, ca no est gai, ma chi sos pitzinnos minores potzant colare a iscola caminande o a bitzicreta e gioghent in sa carrela e in su bichinau, mi paret de ispantu. E s’ingresu l’imparant bene, chene iscolas bilìngues e cosas goi (a l’ischis comente? In daennantis de sa televisione: est tottu suttatituladu).

      Cun custos essempros sintzillos dio cherrer narrer: a no diat èssere ora de si frimmare un’iscutta e de bi lu pessare bene a ube nos cheremos adderettare, giaichì su cunsumismu, chi t’aggradat goi, no paret chi a sa gente la faghet cuntenta, in prus de tènnere sas dies contadas?

      Ariosto, Manzoni, Carducci inùtiles??? Mah! In iscola, a parre meu, toccat, antzis diat èssere obligatòriu, a bi ch’andare no feti pro imparare sas limbas e sas cosas ùtiles (torra: a chie? a itte?), ma finas pro s’intzivilire!

      In bonora!

  6. Mauro Podda non ha tutti i torti, quando dice “Chi se ne frega di Ariosto e Manzoni??”. Insomma: noi Sardi, ce l’abbiamo o no, una letteratura nostra???

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