In su blog de ZF Pintore, Giuanni Ugas sighit s’arrexonu suu, ma unu pagu s’est ammoddiendi (gianfrancopintore: Ma quanti abitanti c’erano al tempo dei nuraghi?): “Teoricamente, neppure l’adozione della lingua latina, e occorre stabilire quando avvenne con esattezza, è di per se una prova dell’asservimento dei Barbaricini; infatti alle popolazioni montane iliesi dell’interno ancora libere poteva essere utile, per ragioni commerciali e per evitare l’isolamento, apprendere la lingua latina per il tramite delle popolazioni iliesi delle piane e delle fasce collinari che, soggette ai romani, avevano già acquisito la lingua dei vincitori e potevano ben trasmetterla. La metafora di Giovanni Lilliu sulla “riserva indiana” barbaricina non va interpretata alla lettera e di certo se gli Iliesi delle montagne erano “una riserva indiana” rispetto ai romani, non erano affatto privi di contatti con le altre popolazioni.
In ogni caso ribadisco il concetto che, se tutti gli scrittori greci e latini definiscono questi iliesi montani “greci imbarbariti” o “barbari” è evidente che essi continuavano a parlare ancora sino al II secolo d. C. una lingua straniera diversa dalla loro. Di certo, la libertà degli Iliesi insediati sulle montagne almeno sino al secondo secolo d.C. è attestata dagli storici antichi contemporanei (senza alcuna smentita, neppure dalle stesse fonti romane!), mentre l’archeologia deve ancora dimostrare, io penso, che non era così.”
Ugas, molto più modestamente del suo maestro Lilliu, si accontenta adesso di conservare la libertà degli Iliesi solo fino al II secolo A.D.
Beh, c’è una bella differenza tra un paio di secoli di “costante resistenziale” e un paio di millenni!
E poi adesso, per Ugas, la “riserva indiana” diventa “una metafora”, confermando quello che i critici hanno sempre pensato delle ipotesi di Lilliu: LETTERATURA!
Ugas si avventura anche sul terreno, per lui scivoloso, del contatto linguistico e dice che l’apprendimento del latino da parte dei “sardoresistenti” non necessariamente implica il loro asservimento.
Verissimo!
Ma implica allora rapporti amichevoli tra “sardoresistenti” e “sardomalleabili”, con i resistenti nel ruolo di allievi diligenti e i malleabili in quello di maestri impegnati.
Già, perché per imparare una lingua–come sanno tutti quelli che hanno studiato inglese per anni, ma non l’hanno imparato–non basta volerla imparare, ma bisogna anche avere l’opportunità di impararla. Come hanno fatto i resistenti a imparare il latino di Sardegna se avevano soltanto dei rapporti commerciali con i malleabili?
Chissà?
Ovviamente, se i rapporti tra resistenti e malleabili fossero stati così poco intensi, dobbiamo supporre che i resistenti parlassero un latino pidginizzato (cioè fortemente semplificato) e alquanto divergente rispetto al latino dei malleabili.
La successiva creolizzazione di quel pidgin (cioè la sua rielaborazione da parte dei bambini che l’avrebbero appreso come prima lingua) dovrebbe ancora portare le tracce grammaticali–tracce pesanti–della pidginazione.
La grammatica dei resistenti dovrebbe differire da quella dei malleabili almeno quanto la grammatica dell’italiano di un parlante incolto che abbia il sardo come L1 differisce dalla grammatica di un parlante del toscano.
Pensate soltanto alle grandi differenze che esistono tra l’Italiano Regionale di Sardegna e l’italiano standard.
Invece la grammatica (la morfosintassi) di tutte le varietà del sardo è estremamente omogenea.
L’unica differenza rilevante consiste nella presenza della particella interrogativa “a” nei dialetti centro-settentrionali.
Se pidginazione e creolizzazione del latino in Sardegna ci sono state –come molto probabilmente è il caso–questo fenomeno ha riguardato in modo omogeneo sia i sardomalleabili che i fantomatici sardoresistenti.
E questa evidenza mal si concilia anche con la divisione dei Sardi in popoli diversi (Iliesi, Balari e Corsi), a meno che questi popoli non parlassero fondamentalmente la stessa lingua. Altrimenti il contatto tra il latino e le tre lingue diverse avrebbe portato a risultati grammaticali differenti.
Le differenze lessicali (limitate a circa il 20%) e quelle fonetico-fonologiche sono molto probabilmente molto recenti e molto meno indicative di un eventuale “reazione di substrato”, come sa chiunque si sia occupato in modo serio di mutamento linguistico.
Basti pensare che il “Colpo di Glottide”, presente nella Barbagia di Ollolai, è un fenomeno sincronico e ancora produttivo, come mostra il seguente esempio: ?onca > in conca.
La velare sorda rimane tale quando segue una nasale che appartiene alla parola precedente.
Insomma, l’evidenza linguistica attuale non si concilia con l’ipotesi di forme diverse per la latinizzazione delle diverse aree della Sardegna e con l’ipotesi dell’esistenza di lingue fortemente diverse, precedentemente alla latinizzazione.
Si concilia invece con l’ipotesi che i Sardi delle montagne siano stati sterminati dai Romani–come riportano le fonti classiche–e poi sostituiti in quelle zone da Sardi delle pianure già latinizzati.
Come anche la diffusione della parola “gorropu” suggerisce.
Custa chistioni de su gorropu dd’apu incumentzada mesu brullendi, ma is contus funt incumentzendi a torrai.