La LSC? Un golpe da operetta

Immaginate un generale che pretenda di decidere lui se entrare in guerra e contro quale nemico combattere.

Un generale che si sostituisce al governo, è un generale golpista.

Ora, chiamare “generale” un dipendente comunale in prestito alla RAS è un’iperbole che all’interessato farebbe certamente piacere, nella sua smisurata considerazione di se stesso: per questo la uso.

E generale sia, allora, ma un generale fellone, sia chiaro.

Del tipo di Francisco Franco, ai tempi del suo pronunciamiento.

Perché la LSC non è mai stata concepita per essere lo standard del sardo.

Rivediamoci la delibera istitutiva della LSC: “[Il Presidente della Regione di concerto con l’Assessore della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport] PROPONE di adottare la Limba Sarda Comuna, come norme linguistiche di riferimento a carattere sperimentale per la lingua sarda scritta in uscita dell’Amministrazione regionale e per la traduzione di propri atti e documenti ufficiali, fermo restando, come previsto dall’articolo 8 della Legge 482 del 1999, “il valore legale esclusivo degli atti nel testo redatto in lingua italiana”; di intraprendere il processo verso la Limba Sarda Comuna con il concorso di contributi, opinioni, riscontri e verifiche adottando una soluzione iniziale in cui, insieme a una larga maggioranza di opzioni comuni a tutte le varietà, convivono, in alcuni casi, opzioni aperte e flessibili e che, proprio per la gradualià e la sperimentalità del percorso, a distanza di tempo e sulla base delle risultanze e delle necessarie esperienze, potrà essere integrata, modificata ed arricchita con gli opportuni aggiustamenti; di approfondire con ulteriori studi il lessico, la morfologia e un’ortografia comune a più varietà. (http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_72_20060418155552.pdf)”

La LSC, nell’interpretazione de S’Ufitziu de sa Limba, è stata in seguito presentata come lo standard del sardo, da far adottare a tutti i Sardi, in violazione delle indicazioni chiare date dalla delibera istitutiva e ha conosciuto un solo tipo di modifiche: quelle che l’allontanavano ulteriormente dalle varietà meridionali, quelle parlate dalla maggior parte dei Sardi. Le modifiche sono state esattamente l’opposto di quelle auspicate dalla delibera.

Un golpe linguistico, quindi, una fellonia.

Con una differenza: i golpisti de noantri non avevano fucili a disposizione, né baionette.

Solo quattrini da gestire: e così, spaciau s’ollu de procu, spaciada sa festa.

L’uso della LSC è rimasto limitato al cabu de susu e, se di standardizzazione si può parlare, questa è limitata alle varietà centrosettentrionali del sardo: le varietà minoritarie.

Questa parodia di golpe è fallita miseramente: era un golpetto.

Il sardo attende ancora che la politica si faccia carico delle sue responsabilità e si pronunci sulla questione di un eventuale standard.

La questione infatti non è ne tecnica, né burocratica: decidere se standardizzare una lingua è una questione interamente politica e non può essere affidata ai linguisti o, peggio ancora, a un impiegato dotato solo di smisurate ambizioni personali.

È ora di sgomberare il campo dalle numerose fesserie messe in circolazione dai golpettisti, evidentemente così convinti della propria astuzia da pensare che gli altri siano tutti fessi.

Ed è ora che la politica si decida a prendere una decisione sul futuro di una forma ufficiale del sardo.

Resta poco tempo.

La parola adesso spetta a loro.

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