La puntualissima analisi storica delle cause del sottosviluppo della Sardegna, proposta da Marco Zurru, merita di essere letta in tutta la sua lunghezza.
Vi consiglio di fare il copia e incolla su un documento word o di stamparla, perché è più comodo per la sua lettura.
Il documento di Zurru non è pensato per i tempi veloci della rete.
Trovo nell’intervento di Zurru una velata critica alla mia “leggerezza di pensiero” sulla questione del sottosviluppo della Sardegna: “Sia per Tagliagambe che per Bolognesi, gli interessanti ragionamenti si chiudono con un auspicio e una prospettiva di cambiamento degli attuali equilibri. Il primo, nel richiamo alla “sfida posta oggi alla classe politica e ai responsabili del governo dei sistemi sociali dall’esigenza, sempre più sentita, di fare della partecipazione ai processi decisionali e della condivisione degli obiettivi di gestione del territorio, innovazione e di crescita la base di una nuova cultura diffusa, di un nuovo “senso comune” e di un nuovo modello organizzativo, più efficaci e rispondenti alle esigenze ormai indifferibili alle quali occorre far fronte se si vuole evitare di cadere in un declino che si profila sempre più incombente e minaccioso”. Il secondo nella speranza di maggiore benessere nell’isola grazie alla realizzazione del bilinguismo perfetto e dell’autogoverno culturale.”
Quello che penso è naturalmente molto più articolato:Passaggi obbligati
L’autogoverno culturale non sarebbe una ricetta magica, ma semplicemente il punto di partenza obbligato per innescare il lungo processo di costruzione di una società sarda politicamente ed economicamente pluralista.
Zurru stesso riconosce che i motivi del fallimento dello sviluppo attraverso il “libero mercato”, in Sardegna, sono politici e, in senso più ampio, culturali: “il dissolvimento della più preziosa, rara e fondamentale risorsa dei processi di partecipazione collettiva alla costruzione del bene pubblico, la fiducia delle persone, è stato enorme e, purtroppo, ancora se ne pagano le conseguenze. I Patti Territoriali in Sardegna sono stati quasi tutti collusivi, con gli attori economici e politico-amministrativi impegnati a fingere una armonica quanto incolore rete di cooperazione costruttiva utile solo a “portare a casa” il malloppo del Ministero. Insomma, personalmente – non avendo la pretesa di detenere ricette a disposizione – sono convinto che la strada per la costruzione di buone politiche locali di sviluppo sia anche quella descritta da Tagliagambe, anche se uno sguardo agli esiti recenti di pratiche simili non è molto incoraggiante e la strada da compiere per colmare deficit importanti nei diversi tipi di capitale utili a tal fine mi appare incredibilmente lunga.”
Mi sbaglierò, ma mi sembra che l’analisi di Zurru sia inquinata da una fede liberista nella intrinseca capacità del “libero mercato” di autoregolarsi e di generare sviluppo.
Se così fosse, allora le sue stesse conclusioni sul fallimento del “libero mercato” in Sardegna lo contraddirebbero.
Il fatto che in Sardegna una classe politica dipendente abbia impedito l’instaurarsi di quei meccanismi virtuosi del mercato che poi portano allo sviluppo duraturo non è l’eccezione, ma la regola.
Come mostra Why Nations Fail: The Origins of Power, Prosperity … – Amazon.com, è proprio l’esistenza di strutture politiche “inclusive” (pluralismo, stato di diritto, rispetto della proprietà privata, libere elezioni) a permettere l’insorgere di strutture economiche “inclusive” (cioè, in linea di principio, aperte a tutti e che offrono a tutti la possibilità di accrescere il proprio benessere).
Questo libro fa giustizia del dogma liberista sul primato dell’economia: “It’s politics, stupid!”.
Ma ha il grande pregio di non dirtelo mai direttamente: basta seguire la storia economica del mondo e analizzare le diverse economie esistenti.
Zurru ha ragione a dire che “il dissolvimento della più preziosa, rara e fondamentale risorsa dei processi di partecipazione collettiva alla costruzione del bene pubblico, la fiducia delle persone, è stato enorme e, purtroppo, ancora se ne pagano le conseguenze.”
Ecco perché occorre ripartire dalla fondazione di una classe dirigente sarda e non sardignola e dipendente.
Ecco perché occorre rifondare la cultura sarda.
Dobbiamo creare dei meccanismi che selezionino una classe dirigente non-dipendente da eventuali padroni italiani e di cui i Sardi possano fidarsi, perché questa nuova élite sarebbe espressione della loro cultura, del loro essere popolo.
Il percorso è lungo, ma non esistono scorciatoie, solo passaggi obbligati.