E anche l’ultimo tassello del mosaico sarebbe stato trovato: http://lanuovasardegna.gelocal.it/regione/2015/06/04/news/mont-e-prama-il-georadar-svela-la-citta-dei-giganti-1.11550067
Il condizionale è d’obbligo, come si dice, perché non ci sono ancora rilevazioni dirette, ma a Monti de Prama ci sarebbe una città, una città sarda.
Vorrebbe dire che in Sardegna era presente quella civiltà urbana necessaria a sviluppare la grande statuaria e la scrittura.
L’esistenza della città comporta una struttura sociale complessa e l’esistenza di tecnologie sociali in grado di coinvolgere una grande massa di individui in imprese collettive, non realizzabili con il livello di organizzazione delle tribù e dei villaggi.
L’esistenza di tutti questi nuraghi e soprattutto l’esistenza dei grandi nuraghi complessi è adesso facilmente spiegabile.
Città significa stato e stato significa società strutturata gerarchicamente, con un numero limitato di specialisti al vertice della piramide sociale.
Questa élite di specialisti era dispensata dalla necessità di prodursi da sé il cibo necessario al suo sostentamento e poteva dedicarsi all’organizzazione della società, esattamente come succede oggi.
Questo significa che esisteva una sovrapproduzione di cibo, ma questo era già evidente dal fatto che esistano i nuraghi: chi è occupato a costruire nuraghi deve mangiare, ma non può dedicarsi alla produzione di cibo.
Ed era evidente anche dal fatto che i “nuragici” coltivassero anche generi voluttuari come meloni e uva, che saranno stati consumati dall’élite, se non da tutti gli abitanti.
Adesso salta fuori una città.
Finora la mancanza di evidenze era stata interpretata come l’evidenza della non esistenza di città sarde dell’epoca nuragica.
Ma la mancanza di evidenze non costituisce assolutamente un’evidenza: questa è logica elementare.
Chi non conosce un dato fatto, deve limitarsi ad ammettere di non poter trarre alcuna conclusione da quello che non sa.
Invece, su questo grossolano errore metodologico è stata costruita tutta la mitologia della Sardegna immobile nel tempo e incapace di darsi delle strutture sociali complesse.
Eppure, anche se mancava l’evidenza diretta dell’esistenza della civiltà urbana, il numero enorme dei nuraghi e la grande statuaria suggerivano già da almeno 40 anni che che cose non potevano essere andate così.
Per costruire un nuraghe–soprattutto un nuraghe complesso–occorre un’avanzata tecnologia sociale che coordini le attività di una grande comunità per anni.
Non solo l’attività diretta di costruzione, ma anche l’attività di produzione del cibo necessario ai costruttori.
Bisogna convincere, in un modo o nell’altro, i produttori di cibo a produrre il surplus necessario a nutrire i costruttori e bisogna anche metterli in condizione di farlo.
Occorrono, cioè, tecniche agricole già molto avanzate, oltre le tecniche che permettono la mera sussistenza del produttore.
E adesso sembra che la città–e quindi lo stato–siano stati trovati.
Può mancare la scrittura da questo paesaggio sociale così avanzato?
A questo punto le intuizioni profetiche di Massimo Pittau e di Gigi Sanna diventano perfino superflue: il riconoscimento dell’esistenza della scrittura “nuragica” diventerebbe solo la classica ciliegina sulla torta enorme che già è lì sulla tavola.
La Sardegna che ci ha raccontato Lilliu, con la sua fervida fantasia di storico dell’arte, non è mai esistita.
La Sardegna non è mai stata condannata a un’immobilità millenaria dalla sua geografia.
Al contrario, proprio la sua geografia l’ha posta al centro del mediterraneo occidentale e quindi dei traffici che vi ci sono sempre svolti.
Ora i conti cominciano a tornare tutti: la Sardegna che ci ha raccontato Lilliu–e Wagner prima di lui–è la Sardegna evirata dalla colonizzazione italiana, proiettata indietro nei millenni.
La visione di una classe dirigente colonizzata che ha fatto propri i pregiudizi del colonizzatore.
Adesso possiamo dire addio per sempre alla Sardegna di Lilliu e di Wagner.